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Esecuzioni immobiliari

Sospensione concordata

Sospensione concordata

L’articolo  624 bis del  codice di procedura civile prevede  che il Giudice dell’esecuzione, su istanza di  tutti i creditori muniti  di  titolo  esecutivo  possa,  sentito il  debitore,  sospendere il processo fino a ventiquattro mesi.  La norma presuppone l’accordo di  tutte le parti  costituite, ad esclusione del  contumace e dell’interveniente adesivo  semplice.

L’accordo non è,  tuttavia, sufficiente  dal momento  che rientra nella discrezionalità dell’autorità  giudiziaria, insindacabile in sede di giudizio di legittimità,  la convenienza della sospensione.  L’articolo  in  esame stabilisce che l’istanza possa  essere proposta fino  a venti  giorni prima della scadenza del termine per il  deposito  delle offerte di  acquisto, o, nel caso in  cui la vendita senza incanto non  abbia luogo fino  a quindici  giorni prima dell’incanto.

Sull’istanza il Giudice deve provvedere nei  dieci  giorni  successivi  al  deposito e,  se l’accoglie,  disporre che nei  cinque giorni  successivi  il provvedimento  di  sospensione sia comunicato  al Custode affinché provveda alla sua pubblicazione  sul sito internet ove è  pubblicata la relazione  di  stima.  La sospensione può  essere  disposta per una sola volta e l’ordinanza è  revocabile in  qualsiasi  momento,  anche su  richiesta di  un solo creditore, sentito il debitore.

Circa il significato della sospensione concordata nel  sistema di  tutela esecutiva occorre precisare che,  prima che la norma in  esame introducesse tale innovazione, la dottrina era divisa sulla  sua ammissibilità. Parte di  essa riteneva applicabile  l’articolo  296 del  codice di procedura civile  che  disciplina la sospensione su istanza delle parti nel processo  di  cognizione,  richiamando quella giurisprudenza che  escludeva  che in fase di vendita si potesse configurare un differimento delle attività  esecutive su  richiesta di uno o più  creditori al  fine di  evitare il  ricorso incondizionato  al  rinvio d’udienza e facendo  prevalere,  giunti  alla fase diretta della trasformazione del bene in denaro,  le esigenze di ordine pubblico a che si procedesse più rapidamente possibile alla vendita del bene pignorato e alla successiva distribuzione del  ricavato.

A riguardo  la Suprema Corte  con  la  Sentenza numero 13354 del  2004  ha affermato  che la mancata presenza, in sede di incanto, del creditore procedente e dei creditori muniti di titolo esecutivo non comporta l’applicazione dell’articolo 631 del codice di procedura civile  e, dunque, il rinvio dell’udienza da parte del Giudice dell’esecuzione, né deve pervenirsi a diversa conclusione ove i creditori procedenti abbiano presentato istanza di rinvio dell’incanto, non sussistendo alcun obbligo  di concedere tale rinvio. Trattasi di decisione rimessa al potere discrezionale del Giudice, sia quanto a presupposti, sia quanto a determinazione della durata, fermo restando l’obbligo di motivazione di un eventuale provvedimento di rigetto.

Alla sospensione consegue, poi,  l’impossibilità di compimento di atti esecutivi, ai sensi dell’articolo 626 del  codice di procedura civile, salvo diversa disposizione del Giudice dell’esecuzione, il quale  conserva medio tempore la propria giurisdizione, entrando il procedimento in uno stato di provvisoria quiescenza destinata a sfociare nella prosecuzione o nell’estinzione.  Fermo il divieto di compiere atti esecutivi in senso stretto, potranno essere disposti dal Giudice atti conservativi, ordinatori o di carattere amministrativo.

(Riproduzione vietata tutti i  diritti  riservati  Sposatolaw – pubblicato  su  Messaggero )

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Esecuzioni immobiliari

Opposizione di terzo all’esecuzione

 

L’opposizione di terzo è  disciplinata dall’ articolo  619  del  codice di  procedura civile attribuendo a colui che è estraneo  all’esecuzione, ma  pretenda di  avere la proprietà, o altro  diritto  reale sui  beni pignorati,  il  diritto di proporre opposizione all’esecuzione con  ricorso,  prima che sia disposta la vendita, o l’assegnazione di beni.

Tale mezzo rappresenta il rimedio per contestare l’esercizio dell’azione esecutiva sotto un profilo limitato: infatti,  essendo il  terzo   estraneo al  rapporto tra  creditore procedente e debitore esecutato, non essendogli  consentito oppugnare il diritto del primo  a procedere ad esecuzione forzata,  potrà  soltanto dedurre che il pignoramento ha colpito  un bene non  rientrante nel  patrimonio del debitore, reclamando la sua qualità di  non responsabile.

La giurisprudenza è  concorde al  riguardo  nel  ritenere che il terzo opponente, non  essendo parte del  processo  esecutivo, è  legittimato  a far valere il proprio  diritto reale sul  bene  oggetto  dell’esecuzione forzata,  ma non  ad eccepire i  vizi della relativa procedura,  o  ad impugnare  la validità  del  titolo posto  a base di  essa ( Cass. 16921/2009 ).  E’ evidente l’affinità  dell’istituto  con l’opposizione all’esecuzione,  disciplinata dall’art. 615 comma 2 dello  stesso  codice di  rito, per effetto  del  quale,  ad esempio,  il terzo  estraneo  al  titolo  esecutivo  ed al precetto,  destinatario  dell’attività  esecutiva,  non  dovrà  avvalersi  del  rimedio di  cui  all’art.  619, potendo tutelare la propria posizione giuridica mediante opposizione all’esecuzione.

Qualificare l’opposizione proposta dal  terzo come opposizione all’esecuzione,  anziché quale opposizione di  terzo  all’esecuzione,  è di  rilevante importanza al  fine  di  operare una distinzione  sotto il  profilo pratico,  in  quanto  solo con l’opposizione all’esecuzione è possibile far valere la questione relativa all’impignorabilità del  bene,  oltre che proporre opposizione agli  atti  esecutivi. I motivi  addotti  a fondamento  dell’opposizione  all’esecuzione  possono essere,  infatti,  di merito,  qualora si contesti l’esistenza del diritto sostanziale fatto valere dal creditore (per esempio per intervenuta transazione,  adempimento e prescrizione);  di  rito,   allorché si contesti la qualità del titolo esecutivo, atto, o documento, sulla cui base si vuole agire, o si sta agendo (per esempio allorché il creditore non vanti una sentenza di condanna,  ma di mero accertamento); possono, infine,  riguardare   la contestazione della legittimazione attiva, o passiva ( per esempio qualora non  vi  sia stata accettazione di  eredità da parte dell’intimato ad adempiere).

Da notare che in dottrina,  prevale l’idea che la sentenza che decide l’opposizione di terzo  non fa stato  in  ordine al  diritto vantato  dal  ricorrente,  ma solo  riguardo  all’assoggettabilità  o meno  dei  beni  pignorati all’azione esecutiva,  procedendo il  giudice esclusivamente all’accertamento  del  diritto del  terzo in  via incidentale, restando  impregiudicata la questione  della sua titolarità  che,  condividendo  tale orientamento,  potrà essere riproposta al  di  fuori del  processo  esecutivo.

Per ulteriori informazioni in merito è disponibile un servizio di assistenza online.

 

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Esecuzioni immobiliari

Opposizione all’esecuzione

L’opposizione di terzo è  disciplinata dall’ articolo  619  del  codice di  procedura civile attribuendo a colui che è estraneo  all’esecuzione, ma  pretenda di  avere la proprietà, o altro  diritto  reale sui  beni pignorati,  il  diritto di proporre opposizione all’esecuzione con  ricorso,  prima che sia disposta la vendita, o l’assegnazione di beni.

Tale mezzo rappresenta il rimedio per contestare l’esercizio dell’azione esecutiva sotto un profilo limitato: infatti,  essendo il  terzo   estraneo al  rapporto tra  creditore procedente e debitore esecutato, non essendogli  consentito oppugnare il diritto del primo  a procedere ad esecuzione forzata,  potrà  soltanto dedurre che il pignoramento ha colpito  un bene non  rientrante nel  patrimonio del debitore, reclamando la sua qualità di  non responsabile.

La giurisprudenza è  concorde al  riguardo  nel  ritenere che il terzo opponente, non  essendo parte del  processo  esecutivo, è  legittimato  a far valere il proprio  diritto reale sul  bene  oggetto  dell’esecuzione forzata,  ma non  ad eccepire i  vizi della relativa procedura,  o  ad impugnare  la validità  del  titolo posto  a base di  essa ( Cass. 16921/2009 ).  E’ evidente l’affinità  dell’istituto  con l’opposizione all’esecuzione,  disciplinata dall’art. 615 comma 2 dello  stesso  codice di  rito, per effetto  del  quale,  ad esempio,  il terzo  estraneo  al  titolo  esecutivo  ed al precetto,  destinatario  dell’attività  esecutiva,  non  dovrà  avvalersi  del  rimedio di  cui  all’art.  619, potendo tutelare la propria posizione giuridica mediante opposizione all’esecuzione.

Qualificare l’opposizione proposta dal  terzo come opposizione all’esecuzione,  anziché quale opposizione di  terzo  all’esecuzione,  è di  rilevante importanza al  fine  di  operare una distinzione  sotto il  profilo pratico,  in  quanto  solo con l’opposizione all’esecuzione è possibile far valere la questione relativa all’impignorabilità del  bene,  oltre che proporre opposizione agli  atti  esecutivi. I motivi  addotti  a fondamento  dell’opposizione  all’esecuzione  possono essere,  infatti,  di merito,  qualora si contesti l’esistenza del diritto sostanziale fatto valere dal creditore (per esempio per intervenuta transazione,  adempimento e prescrizione);  di  rito,   allorché si contesti la qualità del titolo esecutivo, atto, o documento, sulla cui base si vuole agire, o si sta agendo (per esempio allorché il creditore non vanti una sentenza di condanna,  ma di mero accertamento); possono, infine,  riguardare   la contestazione della legittimazione attiva, o passiva ( per esempio qualora non  vi  sia stata accettazione di  eredità da parte dell’intimato ad adempiere).

Da notare che in dottrina,  prevale l’idea che la sentenza che decide l’opposizione di terzo  non fa stato  in  ordine al  diritto vantato  dal  ricorrente,  ma solo  riguardo  all’assoggettabilità  o meno  dei  beni  pignorati all’azione esecutiva,  procedendo il  giudice esclusivamente all’accertamento  del  diritto del  terzo in  via incidentale, restando  impregiudicata la questione  della sua titolarità  che,  condividendo  tale orientamento,  potrà essere riproposta al  di  fuori del  processo  esecutivo.

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Opposizione all’esecuzione

Opposizione all’esecuzione

 

L’opposizione alla esecuzione rappresenta una parentesi  di  cognizione nella fase dell’esecuzione e mira a fornire al debitore uno strumento per potersi opporre, in via preventiva al precetto, oppure in via successiva al pignoramento e al diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata.

Trattandosi  di un provvedimento equiparato  a quello cautelare,  che può essere sempre revocato o modificato da parte del  giudice che lo ha emesso e che ha  efficacia generale, nel  senso che preclude la possibilità di continuare ad agire sulla base del  medesimo  titolo, ove l’opposizione sia  fondata e accolta,  il  giudice può sospendere l’efficacia esecutiva del titolo.   I gravi  motivi  cui  fa riferimento l’articolo 615  del  codice di procedura civile, sono  quelli del fumus bonis iuris e del periculum in mora e si  ricollegano  alla fondatezza della domanda,  essendo  a questa naturalmente intrinsechi,  chiedendo il debitore  che sia fatta certezza sull’esistenza o meno del diritto processuale di agire con l’esecuzione forzata.

I motivi addotti a fondamento possono essere di merito qualora si contesti l’esistenza del diritto sostanziale fatto valere dal creditore, per esempio per intervenuta transazione, adempimento e prescrizione;  di  rito,   allorché si contesti la qualità di titolo esecutivo, atto o documento sulla cui base si vuole agire o si sta agendo, per esempio allorchè il creditore non vanti una sentenza di condanna ma di mero accertamento; possono, infine,  riguardare   la contestazione della legittimazione attiva o passiva, per esempio qualora non  vi  sia stata accettazione di  eredità da parte dell’intimato ad adempiere. Quando l’opposizione alla esecuzione avviene in via preventiva al precetto viene esperita con atto di citazione ex art. 163 c.p.c. al giudice competente che con ordinanza  può sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, altrimenti, si propone con ricorso. Il giudice dell’esecuzione  fisserà con decreto una udienza camerale, come previsto dall’ art. 185 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, in  cui  si  dovrà rispettare il  contraddittorio tra le parti. La sentenza con  cui  si  conclude l’opposizione non è  impugnabile, se non  con  ricorso per Cassazione.

 

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Opposizione agli atti esecutivi

Opposizione agli atti esecutivi

 

La differenza tra opposizione all’esecuzione e opposizione agli  atti  esecutivi consiste nel fatto che mentre con la prima si  contesta l’an  della pretesa esecutiva,  l’opposizione agli  atti è  funzionale a contestare le modalità  di  svolgimento  del processo  esecutivo.

L’opposizione agli atti esecutivi è disciplinata dall’art. 617  del  codice di procedura civile e rappresenta la più frequente delle opposizioni  promosse nel processo esecutivo  per far valere vizi attinenti alla regolarità  formale del  titolo esecutivo e del precetto, nonchè alla loro notificazione e anche ai  singoli atti esecutivi.  Si tratta di un rimedio pensato dal legislatore per far valere vizi formali dei singoli atti del processo, esteso non solo al debitore, ma anche ai creditori ed ai terzi che possano aver subito un pregiudizio dalle fasi del procedimento esecutivo.

L’opposizione può essere  esperita in via preventiva, con atto di citazione ex art. 163 c.p.c., ovvero in via successiva con ricorso, dopo che l’esecuzione sia già iniziata, sempre entro il termine da quando i singoli atti del procedimento sono stati compiuti,  provocando un accertamento cognitivo che può determinare la sospensione del processo esecutivo e che si conclude con sentenza non impugnabile, essendo prevista solo impugnazione ex  art. 111 Costituzione per violazione di legge.

È importante rimarcare come in caso  di mancata presentazione dell’opposizione l’eventuale vizio dello svolgimento  dell’attività  esecutiva è  sanato, così  come una volta venduto il bene non è  possibile,  decorsi i termini per l’impugnazione, opporre all’aggiudicatario eventuali irregolarità  della vendita. Il Giudizio  di opposizione agli  atti  esecutivi può  concludersi con il rigetto  dell’opposizione per motivi  di  rito,  quando  ad esempio il giudizio  di merito non  sia stato introdotto  nei termini  e modi  di legge, ovvero  con il rigetto,  con l’accoglimento o, ancora, con la dichiarazione di  cessazione della materia del  contendere. Nel caso di  accoglimento dell’opposizione bisogna poi distinguere secondo che dall’accoglimento  stesso derivi  la fine del processo  esecutivo in  corso, ovvero non ne impedisca la prosecuzione derivandone diverse conseguenze in ordine alla necessità che il giudice pronunci un’ordinanza di rinnovazione dell’atto opposto.
 

 

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Espropriazione contro il terzo proprietario

Espropriazione contro il terzo proprietario

 

L’art. 602 del codice di procedura civile disciplina l’espropriazione contro il terzo proprietario,  che consiste in quella particolare forma di espropriazione avente ad oggetto un bene di proprietà di un terzo gravato da pegno o da ipoteca per debito altrui, ovvero un bene la cui alienazione sia stata revocata per frode. La responsabilità  esecutiva in  esame impone che il terzo debba subire l’espropriazione in luogo  del debitore tutte le volte in  cui  si  trovi in un particolare rapporto  con il bene e segnatamente: nel caso  del terzo  acquirente,  allorché il terzo  abbia acquistato il bene già gravato da pegno o da ipoteca; nel caso  del  terzo datore d’ipoteca, quando il terzo  abbia concesso che venisse costituito  sul proprio bene un  diritto reale di  garanzia per debito  altrui ed infine nel caso in  cui il terzo sia divenuto proprietario  di beni  alienati dal  debitore con  atto  dichiarato inefficace perché in  frode ai creditori.

In tali casi il proprietario  del bene espropriato, benché  estraneo  al rapporto  debitorio,  è gravato  da responsabilità  per un debito  altrui, potendosi  delineare tale fattispecie come una particolare categoria di responsabilità esecutiva senza debito. Ed infatti l’espropriazione viene condotta  nei  confronti  di una persona diversa dal  debitore nelle ipotesi in  cui il bene subastato  sia gravato  da ipoteca, pegno, privilegio con  diritto  di  sequela, oggetto  di  garanzia reale per debito  altrui, o  acquisto  già  onerato, ovvero  nel caso in cui l’alienazione da parte del  debitore sia stata revocata per frode,  ferma in  ogni caso la estraneità del  terzo  espropriando  al  rapporto obbligatorio, circostanza che lo rende immune dall’aggressione al suo intero patrimonio.

Il fondamento di tale speciale disciplina  va individuato nell’art. 2910 del  codice civile. che, nel rendere concreta la responsabilità patrimoniale generica del debitore sancita dall’art. 2740 dello stesso  codice di  rito, stabilisce al primo comma la soggezione dei beni del debitore all’espropriazione mentre, al secondo comma, prevede che possano essere espropriati anche i beni del terzo quando siano vincolati a garanzia del credito, o quando siano oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore.

In tali  casi è opportuno  ricordare che l’atto di precetto dovrà essere notificato tanto al debitore che al terzo, mentre la sua intimazione dovrà essere rivolta esclusivamente al debitore  e dovrà contenere l’avvertimento rivolto al terzo, oltreché  al debitore, che si intende espropriare un determinato bene di proprietà del terzo di cui l’atto di precetto dovrà fare espressa menzione; mentre il successivo atto di pignoramento, che potrà assumere la forma dell’espropriazione mobiliare presso il debitore o presso terzi, dell’espropriazione immobiliare o dell’espropriazione dei beni indivisi, per ovvie ragioni, dovrà essere effettuato nei confronti del terzo e non del debitore. Il terzo proprietario assoggettato  ad espropriazione forzata  è,  comunque,  legittimato all’opposizione agli  atti  esecutivi,  essendo direttamente interessato al  regolare svolgimento del processo  esecutivo,  al  fine di  non  rimanere pregiudicato dal  compimento  di  atti non  conformi  alla legge, come stabilito dalla  Suprema  Corte con  sentenza n. 4923 del 2000.

Parimenti  l’opposizione all’esecuzione,  disciplinata dall’art.  615 del  codice di procedura civile, avendo  ad oggetto  la contestazione del  diritto di promuovere l’esecuzione forzata, è  esperibile soltanto  dal  debitore  e dal terzo  assoggettato all’esecuzione; mentre non è legittimato  attivamente all’ opposizione  il promissario  acquirente del  bene immobile che sia gravato  da ipoteca per un  debito  altrui e che venga sottoposto  ad esecuzione dal  creditore ipotecario. (Riproduzione vietata tutti i  diritti  riservati  Sposatolaw – pubblicato  su  Messaggero.

 

 

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Conversione del pignoramento

Conversione del pignoramento

L’art.  495 del  codice di procedura civile  regola l’istituto  della conversione del  pignoramento che consiste nella richiesta formulata per iscritto al giudice dell’esecuzione dal debitore, di sostituire al bene immobile pignorato, una somma di danaro pari all’importo dovuto per capitale, interessi e spese al creditore pignorante ed ai creditori intervenuti – dice l’Avv. Gianluca Sposato, Presidente dell’Associazione custodi  giudiziari.

L’istituto è  stato  oggetto  di numerosi interventi  del legislatore,  che hanno inciso  sul procedimento ma non  sulla sua originaria natura ed è opinione  oramai consolidata in  dottrina che la conversione del  pignoramento  costituisca un  diritto  del  debitore,  non  sottoposto  ad opposizione dei  creditori o  a valutazione discrezionale del  giudice, operando   una  modificazione dell’oggetto  dello  stesso,  proseguendo il processo  di  esecuzione con oggetto mutato.

L’istanza può  essere presentata anche verbalmente al  giudice,  come previsto dall’art.  486 c.p.c.,  in  quanto  non risultano stabilite regole di  forma particolari  se non il  rispetto  del  contraddittorio,  dovendo provvedere il  giudice sentite le parti;  anche se la giurisprudenza ha chiarito  che l’audizione di  tutti i  creditori  prima dell’emanazione dell’ordinanza di  conversione del pignoramento non è prescritta a pena di  nullità rilevabile d’ufficio e la relativa inosservanza può  esser fatta valere soltanto  dai  creditori pretermessi nel  cui interesse l’audizione è prevista ( Cass. 1490/89 ) –  chiarisce l’Avv. Sposato.

Si  ritiene, inoltre,  che non  sia necessario indicare la somma che occorrerà  sostituire al bene pignorato,  perché  questa operazione è  di  esclusiva competenza del  giudice. Condizione di  ammissibilità  dell’istanza è  il  versamento  della somma disposta dal  giudice,  di  regola non inferiore ad un  quinto  dell’importo  del  credito per cui  è  stato  eseguito il pignoramento e dei  crediti  dei  creditori intervenuti  indicati  nei  rispettivi  atti  d’intervento,  dedotti i versamenti  effettuati  di  cui  deve essere data prova documentale.

Con la L. 80/2005 mediante lo  spostamento indietro del  momento preclusivo della presentazione dell’istanza, che deve essere proposta prima dell’emissione dell’ordinanza di vendita, si  è  concluso il percorso  razionalizzatore dell’istituto  della conversione,  estendendo il termine massimo per il  versamento rateale  a diciotto mesi in luogo  dei  nove precedenti.

Occorre infine ricordare –  conclude l’Avv. Sposato, che qualora il debitore non versi la somma indicata dal  giudice  nel termine previsto, oppure in caso  di versamento rateale manchi o ritardi il pagamento  di una sola rata oltre i  quindici  giorni  fissati la norma prevede che egli  decada dalla conversione, con la conseguenza che le somme già versate vengono  acquisite al pignoramento  a titolo  di  sanzione ed il  debitore decade dalla facoltà  di  chiedere nuovamente la conversione,  dovendosi  considerare inammissibile una nuova istanza in tal  senso.    (Riproduzione vietata tutti i  diritti  riservati  Sposatolaw – pubblicato  su  Messaggero).

 
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Alienazioni anteriori al pignoramento

Alienazioni anteriori al pignoramento

 

L’articolo 2914 del codice civile stabilisce che non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento le alienazioni di beni immobili  iscritti in pubblici registri, che siano state trascritte successivamente al pignoramento.

Deve precisarsi che l’espressione ”anteriori al pignoramento” usata nella norma in esame va riferita non al compimento del pignoramento, ma alla sua trascrizione espressamente richiesta dall’art. 2693  dello  stesso  codice di  rito che ha, limitatamente al pignoramento immobiliareefficacia costitutiva.

Relativamente agli immobili soggetti al sistema tavolare, occorre ricordare che la Cassazione Civile con  sentenza n. 9525 del 29/09/1997 ha affermato  che il terzo che proponga opposizione all’esecuzione ex art. 619 del  codice di procedura civile, assumendo di essere l’esclusivo proprietario dell’immobile pignorato in danno del debitore, può opporre il proprio acquisto ai creditori concorrenti soltanto se ha proceduto all’intavolazione anteriormente al pignoramento. Sempre la Cassazione Civile con  sentenza  n.  4667 del 19/07/1986 con riferimento ai mezzi di tutela spettanti ai terzi acquirenti dell’immobile in caso di pignoramento dell’immobile eseguito dopo la conclusione della vendita e trascrizione di quest’ultima successiva a quella del pignoramento, con conseguente evizione a seguito dell’espropriazione, ha poi affermato che l’acquirente ha la possibilità di invocare la garanzia prevista dall’art. 1483 del  codice civile, essendo inapplicabile la disposizione di cui all’art. 1482 dello  stesso  codice.

La Suprema Corte ha, infine,  chiarito ( Cass. 1779/80 ) che risponde per evizione il venditore di un immobile, il quale, non presentandosi tempestivamente dinanzi al notaio per la stipula dell’atto pubblico, ha impedito la trascrizione della compravendita prima che i suoi creditori trascrivessero sul bene venduto un pignoramento, il giorno successivo a quello stabilito per la stipula dell’atto pubblico di compravendita.

Atteso che la norma in esame è applicabile anche nelle procedure concorsuali e, in considerazione del fatto che l’opponibilità al fallimento del venditore di un suo atto di compravendita immobiliare postula che l’atto medesimo non soltanto abbia data certa, ma anche che sia stato trascritto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, la giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui deve escludersi tale opponibilità con riguardo ad un atto di trasferimento immobiliare che sia stato trascritto in un giorno successivo, ovvero nello stesso giorno della dichiarazione di fallimento ( Cass. 9810/03 ). Ovviamente la norma in esame non trova applicazione nel caso di trasferimento di immobile pignorato in forza non di una alienazione a titolo derivativo, ma di un acquisto a titolo originario, come per usucapione (Cass. 13184/99).

(Riproduzione vietata tutti i  diritti  riservati  Sposatolaw – pubblicato  su  Messaggero)

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Esecuzioni immobiliari

Esecuzioni immobiliari

Esecuzioni immobiliari

Assistenza legale per partecipare alle aste giudiziarie e nell’ambito delle procedure esecutive immobiliari a tutela dei diritti del  debitore esecutato,  dei  contitolari  e degli  eredi,  con esame della documentazione inerente la procedura, individuazione delle questioni  giuridiche e   risoluzione  dei casi. Rinegoziazione del credito, onde evitare la vendita per asta giudiziaria dell’immobile pignorato, applicazione degli strumenti idonei a garantire tutela giuridica della parte esecutata in  giudizio,  mediante gli  strumenti della opposizione all’esecuzioneopposizione agli atti esecutiviopposizione di terzo all’esecuzione, della riduzione e conversione del pignoramento, sospensione della procedura esecutiva. Verifica del valore di stima dei beni immobili pignorati e della massa debitoria,  anche in  sede di  distribuzione del  ricavato. Casistiche particolari,  che meritano particolare approfondimento riguardano le alienazioni  anteriori al pignoramento, l’espropriazione contro il terzo proprietario, la conversione del pignoramento  e la sospensione concordata.
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Principio di indifferenza nel pignoramento per mutuo fondiario

Principio di indifferenza nel pignoramento per mutuo fondiario

Ai contratti di mutuo fondiario stipulati prima dell’entrata in vigore del Testo Unico sulla legge bancaria n. 385/93 deve applicarsi il disposto dell’art. 20 del T.U. sul credito fondiario n. 646 del 1905, secondo il quale i successori devono notificare all’istituto di credito di essere subentrati nel rapporto ed, in mancanza di tale notificazione, è consentita la notifica di tutti gli atti al debitore iscritto nel domicilio eletto. Tale disciplina è caratterizzata dal principio della cosiddetta indifferenza ai fini esecutivi del trasferimento dell’immobile gravato da ipoteca per mutuo fondiario.

Principio generale in tema di esecuzioni immobiliari è quello per cui il pignoramento va eseguito nei confronti di colui che è proprietario al momento in cui l’esecuzione viene intrapresa. Tale principio soffre, tuttavia, di una eccezione, derivante dalla originaria normativa in materia di credito fondiario. Secondo tale normativa, qualora l’immobile da pignorare sia stato oggetto di ipoteca iscritta a garanzia di un mutuo fondiario, l’esecuzione può essere intrapresa nei confronti dell’originario debitore mutuatario anche se costui abbia venduto l’immobile prima del pignoramento. In tale fattispecie opera l’art. 20 del R.D. n. 646/1905  il quale ha stabilito il cosiddetto “principio di indifferenza” ai fini esecutivi dell’avvenuto trasferimento dell’immobile gravato da ipoteca per mutuo fondiario.

Detta norma prevede un onere di notifica all’Istituto di credito da parte dell’acquirente dell’immobile ipotecato, laddove, qualora tale notifica non sia eseguita, è legittima l’esecuzione intrapresa nei confronti dell’originario soggetto a carico del quale è stata iscritta l’ipoteca ed addirittura nei confronti di un soggetto defunto.

Il suindicato art. 20 del Testo Unico stabilisce che quando non vi sia stata comunicazione dell’acquisto, l’Istituto mutuante può agire contro il successore nello stesso modo come avrebbe proceduto contro l’originario debitore inscritto e che in mancanza della notificazione, gli atti giudiziari di esecuzione possono essere diretti contro il debitore iscritto, nonostante l’alienazione.

Tale principio ha una duplice valenza: nel caso in cui il trasferimento venga comunicato all’Istituto di credito, l’esecuzione può essere compiuta congiuntamente contro il debitore sostanziale e contro il successore; nel caso, invece, di mancata comunicazione dell’acquisto all’Istituto mutuante,  l’esecuzione può essere compiuta direttamente e solo contro l’originario soggetto a carico del quale è stata iscritta l’ipoteca. In tal caso il successore può intervenire nella procedura intrapresa dal creditore fondiario.

Tale principio opera unicamente sul piano processuale ed è funzionale al compimento dell’esecuzione, in quanto, sul piano sostanziale, il successore mantiene la posizione di soggetto estraneo al rapporto di debito dal quale nasce l’esecuzione. Va ancora evidenziato che l’art. 161 I° comma del D.Lgs. 1/9/93 n. 385 (Testo Unico sulla Legge Bancaria), nell’abrogare l’intero RD n. 646/1905, ha stabilito espressamente che, tuttavia, i contratti di mutuo fondiario già conclusi e le procedure esecutive immobiliari già intraprese alla data di entrata in vigore (1/1/94) del Decreto Legislativo medesimo restano regolati dalle norme in vigore. Ciò comporta che continua ad applicarsi, rispetto a tali contratti ed a tali procedure, il suddetto “principio di indifferenza”  e con esso la sopradescritta normativa di cui all’art. 20 del RD 646/1905. (Riproduzione vietata tutti i  diritti  riservati  Sposatolaw – pubblicato  su  Messaggero)