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Azione di riduzione

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L’azione di riduzione per lesione di legittima

L’azione di riduzione è uno strumento che la legge riconosce ai legittimari per ottenere la reintegrazione nella quota legittima di eredità che è stata violata nel testamento, o attraverso donazioni indirette.

Nel diritto successorio esiste una categoria privilegiata di eredi che ha sempre diritto ad una quota parte dell’eredità della persona che è venuta a mancare.

Si tratta dei legittimari, che sono il coniuge ed i figli e, solo in mancanza di questi ultimi, al loro posto gli ascendenti, ovvero i genitori ed i nonni.

Se il de cuius è sposato e ha figli, non può decidere liberamente a chi lasciare tutta l’eredità, ma deve fare attenzione a non violare le quote ereditarie dei legittimari.

Chi fa testamento non può eccedere la quota disponibile in presenza dei legittimari, poiché una parte dell’eredità è sempre riservata alla moglie e ai figli o, al loro posto, ai genitori.

La quota legittima di eredità, infatti, può essere lesa per effetto di donazioni, o di disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il testatore può disporre.

Se le quote ereditarie con e senza testamento non rispettano la quota parte di eredità da attribuire ai legittimari, questi possono chiedere la reintegrazione nella quota legittima, con l’azione di riduzione.

L’azione di  riduzione può essere esercitata tanto nella successione legittima, che nella successione testamentaria entro il termine di 10 anni dall’apertura della successione.

Come si esercita l’azione di riduzione?

L’azione di riduzione per reintegra nella legittima spetta ai legittimari e si esercita nel Tribunale dove si è aperta la successione, con atto di citazione a comparire in giudizio da notificare agli eredi.

L’articolo 553 del codice civile dispone che quando si apre la successione, se sui beni ereditari concorrono i legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente.

La riduzione delle disposizioni opera nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari.

Questi ultimi devono imputare alla massa ereditaria quanto hanno ricevuto dal defunto in virtù di donazioni, o di legato testamentario.

Le disposizioni testamentarie lesive delle quote ereditarie riservate al coniuge, ai  figli e agli ascendenti sono ridotte nel limite della disponibile, se lesive della legittima.

Attraverso l’azione di riduzione si rendono inefficaci nei confronti dei legittimari pretermessi le disposizioni testamentarie e le donazioni che hanno recato lesione della loro quota legittima.

Circa il termine di  prescrizione per far valere i propri  diritti, l’azione di riduzione deve essere esperita nel termine ordinario di dieci anni dall’apertura della successione.

Inutilmente decorso il termine decennale senza che la donazione, o il testamento che si ritengono lesivi sono stati impugnati, si perde il diritto ad agire in riduzione per intervenuta prescrizione.

Azione di  riduzione e impugnazione del testamento

Nella successione con testamento le disposizioni del de cuius eccedenti la quota disponibile sono soggette a riduzione nei limiti della quota disponibile.

L’azione di riduzione è uno strumento di impugnazione del testamento e delle donazioni lesive dei diritti dei legittimari quando non sono state rispettate le quote ereditarie.

Le donazioni, infatti, nella successione necessaria, quando nell’asse ereditario  sono presenti i legittimari, devono considerarsi come un anticipo di eredità.

L’erede legittimo che ha ricevuto nel testamento una quota ereditaria inferiore a quella a lui riservata, può agire in giudizio esercitando l’azione di riduzione delle donazioni, o disposizioni testamentarie, che ledono la legittima.

Le disposizioni testamentarie si riducono solo dopo aver ridotto le quote degli eredi legittimi.

Nella misura necessaria per reintegrare i legittimari nella quota pretermessa, salvaguardando per quanto possibile la volontà del testatore.

In tal modo, le disposizioni del testamento lesive della quota di legittima di uno, o più, degli eredi si riducono proporzionalmente.

Così anche per le donazioni che hanno causato la lesione della quota ereditaria riservata per legge ai legittimi eredi.

Azione di riduzione e collazione

Tematica di assoluto rilievo è il limite di confine tra l’azione di riduzione e la collazione ereditaria.

Il legittimario che intende agire in riduzione ha l’onere di precisare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva.

Deve, pertanto, indicare gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata.

L’azione di riduzione è il rimedio naturale per far recuperare ai legittimari lesi un “quantum” in natura dei beni oggetto di donazione, o di disposizioni testamentarie, che siano stati lesivi della quota loro riservata per legge.

La collazione permette agli eredi che vi hanno diritto di percepire una quota di tutti i beni donati, anche per la parte gravante sulla disponibile.

Salvo che sia presente una dispensa da collazione e salve le diverse modalità concrete della predetta percezione.

A seconda che il legittimato passivo dell’obbligo collatizio effettui la scelta di adempiere in natura, o per imputazione.

La differenza operativa tra riunione fittizia e collazione sta invece proprio in ciò.

La riunione fittizia è un’operazione puramente contabile, che non importa alcuna modifica dell’asse ereditario, in assenza di una successiva azione di riduzione.

Nelle successioni ereditarie la collazione comporta sempre un sacrificio per il legittimato passivo, che si vedrà sottrarre il bene donatogli.

La donazione tornerà a far parte del “relictum” e sarà divisa tra tutti i coeredi, lui incluso, operando così la collazione in natura.

Nella collazione per imputazione, invece, il legittimato passivo subirà una riduzione in concreto dei beni ereditari a lui spettanti, in proporzione del valore di quanto ricevuta per donazione.

A cosa serve l’azione di riduzione e chi può proporla?

L’azione di riduzione può essere proposta solo dai legittimari che rivendicano di  essere stati pretermessi dall’asse ereditario, ovvero la lesione della loro quota legittima.

Possono agire in riduzione anche i discendenti dei figli, dei fratelli, o delle sorelle del defunto, per effetto dell’istituto della rappresentazione ereditaria.

Con l’azione di riduzione il legittimario, leso o pretermesso, reclama e chiede di conseguire la quota di eredità di valore corrispondente a quella riservatagli.

Nel caso non sia stato pretermesso, ma abbia subito solo lesione della quota ereditaria, l’azione di riduzione consente di ottenere un’integrazione.

In modo che il valore della sua quota raggiunga quello riservatogli dalla legge.

La funzione di reintegra si realizza con una sentenza di accertamento costitutivo, all’esito del giudizio di riduzione promosso dal legittimario che agisce in riduzione.

I legittimari possono rinunciare all’azione di riduzione?

Una volta aperta la successione ereditaria, il nostro ordinamento giuridico consente ai legittimari lesi, o pretermessi, di rinunciare all’azione di riduzione.

La rinuncia all’azione di riduzione deve sempre seguire un accordo ereditario.

La delicatezza delle questioni trattate e vastità  della materia impone sempre di affidarsi ad un avvocato per eredità e successioni.

La rinuncia all’azione di riduzione è un diritto potestativo e produce l’effetto di validare, rendendo definitive e intangibili le situazioni giuridiche operate dal de cuius.

Tuttavia, la rinuncia alla propria quota di legittima, con la rinuncia all’azione di riduzione, può qualificarsi quale donazione indiretta, quando produce un vantaggio economico agli altri eredi.

Peraltro, la rinuncia all’azione di riduzione non è revocabile.

Ciò significa che chi rinuncia all’azione di riduzione per lesione di legittima non può cambiare idea, rimanendo vincolato alla sua decisione.

La “ratio” della norma è da ravvedersi nella tutela riconosciuta alla circolazione dei beni che compongono l’eredità relitta.

Per non porre in pericolo le alienazioni effettuate medio tempore dai beneficiari delle disposizioni lesive, o delle donazioni effettuate in vita dal de cuius.