L’opposizione agli atti esecutivi è disciplinata dall’art. 617 del codice di procedura civile e rappresenta la più frequente delle opposizioni promosse nel processo esecutivo per far valere vizi attinenti alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, nonchè alla loro notificazione e anche ai singoli atti esecutivi. Si tratta di un rimedio pensato dal legislatore per far valere vizi formali dei singoli atti del processo, esteso non solo al debitore, ma anche ai creditori ed ai terzi che possano aver subito un pregiudizio dalle fasi del procedimento esecutivo.
L’opposizione può essere esperita in via preventiva, con atto di citazione ex art. 163 c.p.c., ovvero in via successiva con ricorso, dopo che l’esecuzione sia già iniziata, sempre entro il termine da quando i singoli atti del procedimento sono stati compiuti, provocando un accertamento cognitivo che può determinare la sospensione del processo esecutivo e che si conclude con sentenza non impugnabile, essendo prevista solo impugnazione ex art. 111 Costituzione per violazione di legge.
È importante rimarcare come in caso di mancata presentazione dell’opposizione l’eventuale vizio dello svolgimento dell’attività esecutiva è sanato, così come una volta venduto il bene non è possibile, decorsi i termini per l’impugnazione, opporre all’aggiudicatario eventuali irregolarità della vendita. Il Giudizio di opposizione agli atti esecutivi può concludersi con il rigetto dell’opposizione per motivi di rito, quando ad esempio il giudizio di merito non sia stato introdotto nei termini e modi di legge, ovvero con il rigetto, con l’accoglimento o, ancora, con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere. Nel caso di accoglimento dell’opposizione bisogna poi distinguere secondo che dall’accoglimento stesso derivi la fine del processo esecutivo in corso, ovvero non ne impedisca la prosecuzione derivandone diverse conseguenze in ordine alla necessità che il giudice pronunci un’ordinanza di rinnovazione dell’atto opposto.