L’azione revocatoria è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale del debitore, consistente nell’attribuzione ai creditori di un’azione giudiziaria per ottenere la dichiarazione di inefficacia degli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore abbia recato oggettivamente pregiudizio alle ragioni creditorie.
L’articolo 2902 del codice civile prevede che il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, possa promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni oggetto dell’atto impugnato. Inoltre, il terzo contraente che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell’atto dichiarato inefficace se non dopo che il creditore è stato soddisfatto ”.
Le fattispecie possono essere assai variegate: si pensi all’atto in frode ai creditori per il cui tramite si intende danneggiare specificamente costoro, sottraendo la garanzia generica costituita dagli elementi attivi presenti nel patrimonio del debitore; oppure alla costituzione di una garanzia reale in favore di un creditore che ne fosse stato originariamente privo.
L’effetto dell’azione pauliana non consiste nella dichiarazione di nullità degli atti di alienazione compiuti dal debitore , ma nella sua dichiarazione di inefficacia relativa, nel senso che l’atto di alienazione non può essere opposto al solo creditore che ha agito, mentre nei riguardi del terzo acquirente e degli altri soggetti è perfettamente valido ed efficace. Gli elementi essenziali dell’azione in commento tradizionalmente vengono ravvisati nel consilium fraudis e nell’eventus damni. Ricorre il primo allorché sia ravvisabile la frode del debitore, ovvero quando sia evidente la conoscenza del pregiudizio da parte di questi relativamente all’atto di disposizione posto in essere in danno al creditore. A riguardo è importante precisare che se l’atto è stato compiuto prima che sia maturato il diritto di credito la legge impone, al fine dell’esperimento dell’azione, la necessità che sia dolosamente preordinato al fine di danneggiare il futuro creditore.
Circa il secondo elemento, invece, bisogna tener conto che l’atto di disposizione posto in essere dal debitore deve essere di natura tale da poter danneggiare gli interessi del creditore: di conseguenza se il patrimonio del debitore è composto da più cespiti di rilevante valore, la vendita di alcuni di essi non potrà danneggiare gli interessi del creditore poiché questi, in caso di inadempimento, potrà comunque rivalersi sugli altri beni. Rilevante, poi, è distingue se l’atto di disposizione posto in frode al creditore sia a titolo oneroso o gratuito. Infatti se l’atto è a titolo oneroso per agire in revocatoria, oltre la frode e il danno sarà anche necessario che il terzo sia consapevole del pregiudizio che arreca alle ragioni del creditore, ovvero che sia in malafede, potendo il giudice convincersi dell’esistenza di tale requisito in base al basso prezzo corrisposto dal terzo acquirente per ottenere il bene. Se l’atto, invece, è a titolo gratuito per agire in revocatoria sarà sufficiente dimostrare l’esistenza della frode ed il prodursi del danno, essendo irrilevante l’eventuale buona fede del terzo che abbia acquisito il diritto.
Dunque, soltanto il terzo sub acquirente vedrà fatte salve le sue ragioni se potrà dimostrare di essere in buona fede al momento dell’acquisto; mentre è interessante osservare che la Suprema Corte con una recente pronuncia ( Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 11573 del 14.05.2013 ) ha affermato che l’accertamento del credito non sospende l’azione revocatoria che si prescrive nel termine di cinque anni dal compimento dell’atto pregiudizievole. (Riproduzione vietata tutti i diritti riservati Sposatolaw – pubblicato su Messaggero)