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Nel diritto ereditario, la rinuncia all’impugnazione del testamento ci ricorda che azione di riduzione si configura come un diritto potestativo disponibile.
Come è noto, gli articoli 554 e seguenti del codice civile disciplinano l’azione di riduzione, attribuendola ai legittimari lesi o pretermessi.
Si tratta di un diritto potestativo che mira a dichiarare inefficaci le disposizioni testamentarie, o le donazioni lesive della quota di riserva.
La natura disponibile di questo diritto implica che il legittimario possa scegliere se esercitarlo, o rinunciarvi.
Tuttavia, come stabilito dall’art. 557 del codice civile, la rinuncia non è ammessa prima della morte del de cuius, poiché solo con l’apertura della successione nasce la lesione attuale e concreta.
Nella successione testamentaria la rinuncia all’azione di riduzione è un atto che consolida definitivamente le attribuzioni patrimoniali volute dal testatore.
Sebbene il confine tra donazioni ed eredità sia sottile, tale rinunzia si configura come un negozio giuridico unilaterale abdicativo, che il legittimario può compiere liberamente.
L’unica accortezza richiesta per la sua efficacia e validità è rappresentata dalla condizione di rispettare le forme prescritte dalla legge.
La Cassazione (Sez. II, n. 15862/2014) ha ribadito che la rinuncia non integra una liberalità diretta, ma un atto di disposizione di un diritto disponibile.
La rinuncia ad impugnare il testamento può assumere forme diverse:
può essere pura e semplice, come atto unilaterale, senza corrispettivo;
può inserirsi in un accordo di reintegra della legittima, come parte di una transazione fra legittimari;
può essere accompagnata dal versamento di una somma di denaro, o da altre concessioni reciproche con una transazione ereditaria.
In ogni caso, essa è espressione dell’autonomia privata e trova il suo fondamento nel principio di disponibilità dei diritti successori.
Per essere valida la rinuncia deve essere formalizzata con atto pubblico notarile, mediante accordo di mediazione ereditaria, o scrittura privata autenticata dai legali delle parti.
Qualora la rinuncia ad esercitare l’azione di riduzione riguarda beni immobili, è bene che sia trascritta nei registri immobiliari.
Si tratta di passaggi necessari non solo per garantire certezza giuridica, ma anche per rendere opponibile la rinuncia ai terzi.
Prima di compiere questa scelta, è sempre opportuno rivolgersi a un notaio o a un avvocato esperto in successioni, in grado di valutare le implicazioni economiche, patrimoniali e familiari di una simile decisione.
La Cassazione con la sentenza n. 23036/2023 ha qualificato la rinuncia all’impugnazione del testamento come possibile liberalità indiretta.
La rinuncia all’azione di riduzione potrebbe configurare una donazione indiretta quando si realizzi un arricchimento di altri eredi legato all’impoverimento consapevole del rinunciante, sorretto da intento liberale.
Non solo il trasferimento diretto di un bene già parte del patrimonio ereditario può rientrare nel concetto di liberalità, ma anche il mancato esercizio consapevole di un’azione che avrebbe arricchito il proprio patrimonio, con beneficio altrui.
In questa prospettiva, la rinuncia all’azione di riduzione assume rilievo anche ai fini della riunione fittizia, incidendo sul calcolo della legittima nella successiva successione del rinunciante.
Gli effetti a cascata possono essere significativi: il legittimario del rinunciante, privato indirettamente di una quota ereditaria che sarebbe spettata al proprio dante causa se avesse agito in riduzione, potrebbe a sua volta chiedere la reintegrazione della propria quota.
È importante distinguere la rinuncia espressa dalla perdita del diritto per prescrizione.
Nel primo caso, il legittimario compie un atto consapevole e volontario, suscettibile di assumere rilevanza anche sotto il profilo delle liberalità indirette.
Nel secondo caso, invece, si tratta di semplice inerzia del titolare, che lascia decorrere i termini decennali per l’esercizio dell’azione di riduzione fermi restando i casi di nullità assoluta del testamento per cui non opera alcun termine di prescrizione.
In questa ipotesi è più difficile configurare un intento liberale, o animus donandi, mancando la volontà positiva di favorire altri eredi.
Come per l’accettazione di eredità, una volta effettuata, la rinuncia all’impugnazione del testamento non può essere revocata.
La Cassazione (Sez. II, n. 26741/2019) ha sottolineato che questa irrevocabilità risponde all’esigenza di tutelare la stabilità dei rapporti giuridici e la circolazione dei beni ereditari.
Ammettere un ripensamento significherebbe mettere in discussione alienazioni e trasferimenti effettuati in buona fede dai beneficiari delle disposizioni testamentarie.
L’istituto, pertanto, assume importanza in particolare nell’ambito degli accordi per la divisione ereditaria e per prevenire contenzioso in ambito successorio.
La rinuncia all’impugnazione del testamento non è soltanto un atto tecnico di rinuncia a un diritto, ma uno strumento che può consolidare la volontà del defunto, regolare i rapporti tra legittimari e, in alcuni casi, produrre effetti di liberalità indiretta.
Si tratta di una scelta definitiva, che incide sul patrimonio presente e futuro, con possibili riflessi anche nelle successive successioni familiari, ben diversa dalla clausola di non impugnazione del testamento.