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Recupero crediti

Procedura di sovraindebitamento

Procedura di sovraindebitamento

Ristrutturazione dei debiti

Il consumatore può sottoporre ai creditori un piano di ristrutturazione dei debiti con le indicazioni di tempi e modi per il superamento della crisi, la domanda deve essere presentata da un Organismo di Composizione della Crisi e si svolge dinnanzi al Tribunale in composizione monocratica. Lo stato di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, agricolo, delle start-up innovative e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale, coatta amministrativa, o ad altre procedure liquidatorie previste per i casi di crisi o insolvenza, sono regolamentate dall’art. 2 lettera c del D. Lgs. 14/2019, la cui ratio consiste nel favorire il debitore, per consentirgli nuove opportunità nel mondo del lavoro, liberandolo da pesi che rischiano di divenire insostenibili, precludendogli ogni prospettiva futura.

Esdebitamento insolventi civili

Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa estende l’applicazione dell’esdebitazione degli insolventi civili, anche ai membri della famiglia ed ai soci illimitatamente responsabili, con la finalità di favorire quei soggetti che non ricoprono la qualifica di imprenditore e, pertanto, non sono soggetti a fallimento. Il piano di ristrutturazione agevola il consumatore, perché non è richiesta l’approvazione dei creditori ai fini dell’omologazione, inoltre, i crediti che non possono essere soddisfatti, se il piano viene approvato, diventano inesigibili. Per avvalersi delle possibilità previste dall’istituto la legge richiede che il debitore sia meritevole, ossia che non abbia determinato il sovraindebitamento per colpa grave, o dolo.

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Recupero crediti

Vendita in frode ai creditori

Vendita in frode ai creditori

L’azione revocatoria è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale del debitore, consistente nell’attribuzione ai creditori di un’azione giudiziaria per ottenere la dichiarazione di inefficacia degli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore abbia recato oggettivamente pregiudizio alle ragioni creditorie.
L’articolo 2902 del codice civile prevede che il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, possa promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni oggetto dell’atto impugnato. Inoltre, il terzo contraente che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell’atto dichiarato inefficace se non dopo che il creditore è stato soddisfatto ”.
Le fattispecie possono essere assai variegate: si pensi all’atto in frode ai creditori per il cui tramite si intende danneggiare specificamente costoro, sottraendo la garanzia generica costituita dagli elementi attivi presenti nel patrimonio del debitore; oppure alla costituzione di una garanzia reale in favore di un creditore che ne fosse stato originariamente privo.
L’effetto dell’azione pauliana non consiste nella dichiarazione di nullità degli atti di alienazione compiuti dal debitore , ma nella sua dichiarazione di inefficacia relativa, nel senso che l’atto di alienazione non può essere opposto al solo creditore che ha agito, mentre nei riguardi del terzo acquirente e degli altri soggetti è perfettamente valido ed efficace. Gli elementi essenziali dell’azione in commento tradizionalmente vengono ravvisati nel consilium fraudis e nell’eventus damni. Ricorre il primo allorché sia ravvisabile la frode del debitore, ovvero quando sia evidente la conoscenza del pregiudizio da parte di questi relativamente all’atto di disposizione posto in essere in danno al creditore. A riguardo è importante precisare che se l’atto è stato compiuto prima che sia maturato il diritto di credito la legge impone, al fine dell’esperimento dell’azione, la necessità che sia dolosamente preordinato al fine di danneggiare il futuro creditore.
Circa il secondo elemento, invece, bisogna tener conto che l’atto di disposizione posto in essere dal debitore deve essere di natura tale da poter danneggiare gli interessi del creditore: di conseguenza se il patrimonio del debitore è composto da più cespiti di rilevante valore, la vendita di alcuni di essi non potrà danneggiare gli interessi del creditore poiché questi, in caso di inadempimento, potrà comunque rivalersi sugli altri beni. Rilevante, poi, è distingue se l’atto di disposizione posto in frode al creditore sia a titolo oneroso o gratuito. Infatti se l’atto è a titolo oneroso per agire in revocatoria, oltre la frode e il danno sarà anche necessario che il terzo sia consapevole del pregiudizio che arreca alle ragioni del creditore, ovvero che sia in malafede, potendo il giudice convincersi dell’esistenza di tale requisito in base al basso prezzo corrisposto dal terzo acquirente per ottenere il bene. Se l’atto, invece, è a titolo gratuito per agire in revocatoria sarà sufficiente dimostrare l’esistenza della frode ed il prodursi del danno, essendo irrilevante l’eventuale buona fede del terzo che abbia acquisito il diritto.
Dunque, soltanto il terzo sub acquirente vedrà fatte salve le sue ragioni se potrà dimostrare di essere in buona fede al momento dell’acquisto; mentre è interessante osservare che la Suprema Corte con una recente pronuncia ( Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 11573 del 14.05.2013 ) ha affermato che l’accertamento del credito non sospende l’azione revocatoria che si prescrive nel termine di cinque anni dal compimento dell’atto pregiudizievole. (Riproduzione vietata tutti i diritti riservati Sposatolaw – pubblicato su Messaggero)

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Aste, il creditore ricorre al pignoramento congiunto

Aste, il creditore ricorre al pignoramento congiunto

Scioglimento della comunione ereditariaPubblicato su Il Messaggero il 3 giugno 2012.

“L’articolo 556 del codice di procedura civile prevede per il creditore la possibilità di fare pignorare insieme all’immobile anche i mobili che lo arredano, quando sia opportuno che l’espropriazione avvenga unitamente; in tal caso l’ufficiale giudiziario forma atti separati per l’immobile e per i mobili, depositandoli però insieme nella cancelleria del Tribunale”, spiega l’avvocato Gianluca Sposato, presidente dell’Associazione custodi giudiziari.
La norma in commento disciplina l’esproprio dell’immobile arredato, consentendo l’espropriazione congiunta su mobili ed immobile, quando si realizzi una sorta di connessione degli oggetti con la sede ove si trovano, in relazione ad una stretto rapporto economico tra gli stessi. “Tipici esempi che si possono riportare – prosegue l’avvocato Sposato – sono quelli: di un opificio fornito di macchinari non incorporati ad esso, di un negozio dotato di banchi e scaffali (con esclusione delle merci destinate alla vendita), di una villa antica arredata con mobili d’epoca, di un loMa esistono limiti all’espropriazione unitaria di beni mobili e immobili cale da ballo dotato di tavolini e divani. A riguardo, occorre precisare che la norma è dettata da ragioni di opportunità economica per cui l’espropriazione unitaria trova giustificazione nell’essere il procedimento cumulativo teso al conseguimento di un ricavo, quale quello derivante dalla vendita dei beni riuniti”.
Ulteriore finalità perseguita dall’espropriazione congiunta è riconducibile all’economia processuale, in considerazione del fatto che l’unitarietà del pignoramento renda più celere l’attività del creditore. È bene precisare, però, che la sola connessione con la sede di per sé non giustifica il pignoramento congiunto, atteso che, come facilmente comprensibile, non è consentita l’applicazione della disposizione in esame nel caso della vettura posta in garage, o di valori custoditi in cassaforte, poiché non legati all’immobile da alcun rapporto di funzionalità, abbellimento, od utilità. “La disposizione non si applica anche agli accessori ed alle pertinenze – sottolinea ancora l’avvocato Sposato – in quanto ricompresi automaticamente nell’oggetto del pignoramento, come previsto dall’articolo 2912 del codice civile. Bisogna, poi, ricordare che con particolare riguardo all’azienda la giurisprudenza ha chiarito che, stante l’autonomia funzionale dei singoli beni organizzati, nessuno dei quali assume la funzione di bene principale, per promuovere l’esecuzione forzata sui beni della stessa è necessario eseguire separati pignoramenti per gli immobili e per i mobili, non essendo applicabile l’articolo 2912 del codice civile, salvo il ricorso all’espropriazione cumulativa contemplata dall’articolo 556 in esame”.
A riguardo la Corte di Cassazione con sentenza n. 9760 del 1993 ha precisato che, anche in caso di esecuzione congiunta, il creditore assistito da una causa di prelazione relativa al solo bene immobile, non può pretendere di essere soddisfatto con prelazione sul ricavato imputabile all’esecuzione forzata mobiliare. “Infine, mentre i beni mobili sono pignorati nelle forme previste dagli articoli 518 e seguenti del codice di procedura civile, i beni immobili sono assoggettati alla disciplina dell’articolo 555 dello stesso codice di rito, ma l’esecuzione si svolgerà davanti al Giudice competente per l’espropriazione immobiliare, in quanto l’applicazione della norma comporta l’attrazione del pignoramento mobiliare in quello immobiliare”, conclude l’avvocato Sposato.

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Il pignoramento presso terzi

Il pignoramento presso terzi

Il pignoramento presso terzi è una particolare procedura di soddisfazione del credito molto utilizzata, perché più rapida ed economica di altre procedure esecutive, che avviene su crediti vantati dal debitore presso altri soggetti, come nel caso del pignoramento del conto corrente bancario, o del pignoramento del quinto dello stipendio direttamente al datore di lavoro del debitore.
Con tale procedura, come disposto dall’articolo 543 del codice di procedura civile, il creditore procede all’esecuzione forzata dei beni del debitore che si trovano in possesso di un soggetto terzo al suo rapporto creditorio.
L’avvocato, dopo avere eseguito le opportune ricerche patrimoniali sulla persona del debitore, provvede a notificare l’atto di pignoramento presso terzi a mezzo ufficiale giudiziario, consegnando il titolo attestante il credito vantato, l’atto di precetto notificato al debitore e l’originale dell’atto di pignoramento contenente la citazione del debitore a comparire ad udienza fissa, con l’invito al terzo a rilasciare la relativa dichiarazione.
Ricevuta la dichiarazione del terzo e ritirato l’atto di pignoramento notificato, la causa dovrà essere iscritta a ruolo, a pena di inefficacia nel termine di 30 giorni, quindi la cancelleria del tribunale trasmetterà al legale comunicazione relativa alla fissazione di udienza in cui il giudice verificherà la regolarità delle notifiche e, successivamente, analizzerà la dichiarazione resa dal terzo pignorato; se questa è positiva, e non ci sono opposizioni del debitore circa l’impignorabilità del bene, allora il giudice emetterà un provvedimento di assegnazione con il quale ordinerà al terzo di pagare al creditore procedente, quanto dovuto dal debitore, oltre alle spese di procedura. Se, invece, la dichiarazione di terzo non arriva, o se arriva, è negativa, si prospetta uno scenario più complesso e di difficile pronta soluzione per il recupero del proprio credito.

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Pignoramento

Pignoramento

Il pignoramento consiste in un’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all’espropriazione ed i relativi frutti. La sua funzione è quella di determinare un vincolo di destinazione su uno o più beni individuati dal debitore affinché essi, una volta liquidati e cioè trasformati in denaro, soddisfino il credito del creditore procedente e di quello dei creditori eventualmente intervenuti, rendendo attuale la responsabilità patrimoniale generica di cui all’articolo 2740 del codice civile.
Il bene pignorato non è in regime di indisponibilità assoluta e non cessa di appartenere al patrimonio del debitore, con la conseguenza che l’eventuale atto di disposizione su di esso compiuto non è nullo, o in alcun modo invalido o affetto da inefficacia assoluta ma, ai sensi dell’articolo 2913 del codice civile, sarà inopponibile al creditore procedente e a quelli intervenuti, dovendosi parlare di inefficacia relativa degli atti di disposizione compiuti sui beni pignorati da parte del debitore esecutato.
Molto rilevanti da un punto di vista pratico sono le novità introdotte dalle Legge n. 80 del 2005. Ferma restando la centralità dell’ingiunzione, il nuovo secondo comma dell’articolo 492 del codice di procedura civile ha stabilito che il pignoramento debba contenere due requisiti formali: l’invito ad eleggere domicilio in comune compreso nel circondario del tribunale, con avvertenza che altrimenti le successive notifiche e comunicazioni saranno effettuate presso la cancelleria e l’avvertimento della facoltà per il debitore di chiedere la conversione del pignoramento.
Tale ultima disposizione, dall’indubbia finalità garantistica, si spiega anche in considerazione della nuova formulazione del termine finale entro il quale possa essere richiesta la conversione, la quale non è ammissibile se proposta dopo l’emissione dell’ordinanza che dispone la vendita. Gli ulteriori commi introdotti dalla Legge n. 80/2005, come riformata dalla Legge n. 52/06, hanno finalità volte ad introdurre meccanismi di facilitazione della ricerca dei beni da pignorare da parte del creditore, prevedendo che l’ufficiale giudiziario quando constati che i beni assoggettati a pignoramento appaiano insufficienti per la soddisfazione del creditore procedente, debba invitare il debitore ad indicare i beni utilmente pignorabili ed i luoghi in cui questi si trovino, ovvero le generalità dei terzi debitori, con l’avvertimento delle sanzioni previste per il caso della mancata dichiarazione.
Sempre nel caso in cui non vengano individuati beni utilmente pignorabili, introducendo un procedimento officioso di individuazione dei beni da pignorare analogo a quello previsto nel sistema francese, la riforma ha disposto anche che l’ufficiale giudiziario possa richiedere, su istanza del creditore pignorante, indagini presso l’anagrafe tributaria o altre banche dati pubbliche. (Riproduzione vietata tutti i diritti riservati Sposatolaw – pubblicato su Messaggero )

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Intervento dei creditori

Intervento dei creditori

L’art. 498 del codice di procedura civile stabilisce che dell’espropriazione devono essere avvertiti i creditori che sui beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante da pubblici registri. Il successivo art. 499 prevede che possano intervenire nell’esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su titolo esecutivo, nonché quelli che al momento del pignoramento avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati, ovvero avevano un diritto di pegno o di prelazione risultante da pubblici registri, o ancora erano titolari di un diritto di credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile.
La disposizione in esame è considerata una diretta conseguenza del principio della par condicio creditorum posto dall’art. 2741 del codice civile, secondo il quale, salve le cause legittime di prelazione, ciascun creditore ha diritto di soddisfarsi sui beni del debitore. Il ricorso per intervento deve essere depositato prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione e deve contenere l’indicazione del credito e quella del titolo da cui esso ha origine.
Occorre ricordare che l’intervento dei creditori non muniti di titolo esecutivo, ammissibile prima della riforma introdotta dalla Legge n. 80 del 2005, conserva efficacia se avvenuto prima del 1/3/2006, dovendosi applicare le nuove norme per gli interventi depositati oltre tale data. La riforma in questione ha inserito tra le disposizioni riguardanti l’intervento in generale l’istituto dell’estensione del pignoramento precedentemente regolato dall’art. 527 c.p.c. Circa gli effetti dell’intervento è l’art. 500 dello stesso codice di rito a disporre che tale azione dà diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata, nonché all’espropriazione del bene pignorato e a provocarne i singoli atti. In linea di principio, i poteri dei creditori intervenuti dipendono da molteplici condizioni sia di carattere sostanziale che processuale, assumendo tra le prime rilievo la natura del credito, privilegiato o chirografario, quando non è assistito da alcun tipo di garanzia reale, ossia pegno e ipoteca, o personale, ossia fideiussione e anticresi.; mentre, tra le seconde, appaiono rilevanti le circostanze che esso sia supportato o no da un titolo esecutivo e che l’intervento sia tempestivo o tardivo, a seconda che sia avvenuto prima o dopo l’emissione dell’ordinanza di vendita.
L’intervento nel giudizio attribuisce, comunque, ai creditori un diritto fondamentale: quello di partecipare alla distribuzione della somma ricavata, tale diritto spetta a tutti i creditori intervenuti, siano essi tempestivi o tardivi, privilegiati o chirografari, titolati o meno, sempre che vi sia capienza nel progetto di distribuzione. L’unico limite è quello che l’intervento debba avvenire prima della distribuzione della somma, poiché all’esito della medesima le eventuali somme residue, in mancanza di altri creditori, dovranno essere restituite al debitore. (Riproduzione vietata tutti i diritti riservati Sposatolaw – pubblicato su Messaggero)

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Decreto ingiuntivo

Decreto ingiuntivo

Il creditore a fronte del diniego di pagamento da parte del proprio debitore deve rivolgersi ad un avvocato affinché ottenga la riscossione del proprio credito e possa incassare in tempi rapidi le somme a lui dovute. A volte è sufficiente l’inoltro di una semplice diffida ad adempiere e costituzione in mora del debitore ai sensi dell’articolo 1219 del codice civile, ma il più delle volte occorrerà promuovere una procedura di riscossione per ottenere un titolo esecutivo da parte dell’autorità giudiziaria contro il debitore. Il ricorso per decreto ingiuntivo è un procedimento speciale e sommario, con cui il creditore che vanta un credito certo, liquido ed esigibile, fondato su prova scritta, richiede un provvedimento di ingiunzione di pagamento al giudice competente, il quale ordina al debitore di adempiere all’obbligazione di pagamento ( o di consegna) entro quaranta giorni dalla notifica, con l’avvertimento che entro il medesimo termine potrà proporre opposizione e che, in difetto, si procederà ad esecuzione forzata.
Il decreto ingiuntivo può essere provvisoriamente esecutivo quando il credito sia fondato su una cambiale anche scaduta, un assegno circolare, un assegno bancario finanche scoperto, un certificato di liquidazione di borsa, un atto ricevuto da notaio, o da altro pubblico ufficiale autorizzato e quando si ritiene che, in caso di ritardo nel pagamento, come nel caso di una fattura inevasa, si possa creare un grave danno per il creditore che possa vedersi sottrarre le dovute garanzie nell’adempimento da parte del debitore. Il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo consente al creditore di ottenere il pagamento del proprio credito, o la consegna del bene a lui dovuto, senza dover attendere il termine ordinario di 40 giorni, vedendosi il debitore obbligato ad adempiere entro 10 giorni dalla notifica dall’atto di precetto, con cui il titolo viene notificato. Ove il debitore contesti l’ingiunzione di pagamento, perché infondata, illegittima, o perché vi ha già adempiuto potrà proporre, nel termine di 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, a pena di nullità, relativa opposizione dinanzi lo stesso giudice competente che lo ha emesso, notificando un atto di citazione al creditore opposto ed iscrivendo la causa a ruolo, trasformando così il procedimento da sommario, in ordinario; viceversa l’opposizione a precetto si propone nel termine di 10 giorni, ma non sospende l’esecutorietà del titolo, fino a quando, almeno, non venga accolta l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ai sensi dell’articolo 624 del codice di procedura civile. L’opposizione a decreto ingiuntivo ha spesso carattere meramente dilatorio, con il solo intento di consentire al debitore di prendere tempo e sottrarsi al proprio obbligo di adempiere, in particolare quando non è supportata da prova scritta, o di pronta soluzione, dovendosi intendere per “prova scritta” qualsiasi documento idoneo a provare, ai sensi degli artt. 2699 e seguenti del codice civile, il fondamento dell’eccezione del debitore ingiunto e, quindi, l’inesistenza del diritto del creditore, mentre per “pronta soluzione” l’esistenza di mezzi di prova posti a sostegno dell’opposizione tali, però, da non dare vita ad una vera e propria istruttoria.
La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie affermano che il giudice istruttore, nell’esercizio del suo potere discrezionale di concedere l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo, non deve limitarsi alla sola verifica del fatto che l’opponente abbia fondato l’opposizione su prova scritta, o se questa sia di pronta soluzione; la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, ai sensi dell’articolo 648 del codice di procedura civile, può essere concessa in due diverse ipotesi dai presupposti fra loro autonomi e complementari:
1) quando il creditore opposto abbia fornito la piena prova dei fatti costitutivi del credito e risulti la probabile infondatezza delle eccezioni dell’opponente;
2) quando, a prescindere dalla particolare certezza del credito, possa allegare e provare il “periculum in mora” che a lui deriverebbe dal ritardo nella decisione, qualificato dal “fumus boni iuris” del suo diritto.
Con il decreto ingiuntivo telematico introdotto con il Decreto Legge 179/2012, che prevede il deposito dei documenti con modalità telematiche, i tempi di emissione del decreto ingiuntivo si sono abbassati mediamente da 45 giorni a 10 giorni con indubbi vantaggi per il creditore di ottenere rapidamente un titolo esecutivo nei confronti del proprio debitore.

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Cumulo dei mezzi di espropriazione

Cumulo dei mezzi di espropriazione

L’art. 483 del codice di procedura civile dispone che il creditore possa valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalle legge ma, su opposizione del debitore, il Giudice dell’esecuzione, con ordinanza non impugnabile, può limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il Giudice stesso determina. Il presupposto affinché il debitore possa invocare la limitazione prevista dalla norma in esame consiste nella eccessività del ricorso ai vari mezzi di espropriazione, attraverso i quali può realizzarsi l’espropriazione forzata mobiliare presso il debitore, immobiliare o presso terzi, consentendo la legge al creditore di potere agire cumulativamente, senza alcun ordine di priorità, con la sola eccezione per i beni sui quali sia apposta una garanzia reale ai sensi dell’art. 2911 del codice civile.
La valutazione dell’eccessività deve essere apprezzata dal Giudice di volta in volta, tenuto conto degli interessi del creditore pignorante e di quelli intervenuti, nonché del valore dei beni esecutati e dell’ammontare del credito dell’istante, dei crediti degli intervenuti e di coloro che vantino cause legittime di prelazione. Parte della dottrina, propende per quella tesi più garantista per il creditore secondo cui tale valutazione dovrebbe tenere conto del presumibile ricavato della vendita, nonché delle probabilità di eventuali ulteriori interventi in giudizio da parte di creditori che siano privilegiati. Al contrario una parte minoritaria sostiene che la norma in esame costituisca una estrinsecazione del principio del minimo mezzo, ovvero del principio di lealtà e probità nel compimento degli atti processuali.
In ogni caso, è bene sottolineare che il maggior valore dei beni oggetto dell’espropriazione, rispetto al credito vantato, di per sé non costituisca eccesso dei mezzi di espropriazione tale da legittimare il Giudice ad intervenire, non potendosi prescindere, a riguardo, dalla formulazione di apposito reclamo da parte del debitore esecutato. Al di fuori delle ipotesi di eccessività, sono ammessi più procedimenti di stesso tipo per lo stesso credito, tuttavia, come ha sancito la Suprema Corte con sentenza n. 3786 del 1987, il creditore che sia stato soddisfatto in uno di essi non può ottenere anche il rimborso delle spese di un altro procedimento.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che sussista il cumulo dei mezzi di espropriazione qualora si promuovano contro lo stesso debitore più processi esecutivi di diverso tipo, dovendo, diversamente, trovare applicazione l’articolo 496 del codice di procedura civile che disciplina la riduzione del pignoramento. Quanto alla natura ed alla forma dell’opposizione del debitore, essa non può inquadrarsi nella categoria delle opposizioni in senso tecnico ai sensi degli articoli 615 e 617 del codice di procedura civile, consistendo in un mero reclamo, non soggetto a termini di decadenza, motivato da ragioni di opportunità e convenienza, da proporsi con ricorso o con semplice dichiarazione a verbale di udienza. Il Giudice chiamato a decidere, dovrà disporre l’audizione delle parti interessate e provvederà con ordinanza non impugnabile, soggetta, tuttavia, a ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 comma 7 della Costituzione.
Infine, è importante ricordare come la Corte di Cassazione, con sentenza n. 18533 del 2007, abbia stabilito che in presenza di un eccesso nell’impiego del mezzo esecutivo connotato da dolo o colpa grave, sia giustificata non solo l’esclusione dall’esecuzione dei beni ad essa sottoposti in eccesso, ma anche la condanna del creditore procedente per responsabilità processuale aggravata. (Riproduzione vietata tutti i diritti riservati Sposatolaw – pubblicato su Messaggero)