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Rassegna Stampa

Custodia dell’immobile pignorato e liberazione

Il comma 3 dell’art 560 del c.p.c., questo provvedimento aggiornato il giudice sulle condizioni del cespite pignorato, onde poter adottare ogni provvedimento consequenziale opportuno

Pubblicato su Il Messaggero del 13 settembre 2015.

L’avvocato Gianluca Sposato, presidente onorario dell’associazione custodi giudiziari, commentando il comma 3 dell’art 560 del codice di procedura civile, spiega che questo provvedimento aggiornato il giudice sulle condizioni del cespite pignorato, onde poter adottare ogni provvedimento consequenziale opportuno.

La liberazione dell’immobile pignorato.

Il terzo comma della normativa – prosegue l’avvocato – prevede che il giudice dell’esecuzione disponga, con provvedimento non impugnabile, la liberazione dell’immobile pignorato in tre casi: 1) quando non ritenga di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso; 2) quando revochi la suddetta autorizzazione, se concessa in precedenza; 3) quando provveda all’aggiudicazione o assegnazione dell’immobile. In una fase di crisi economica del mercato immobiliare come quella attuale, i maggiori Fori italiani, come quello di Roma e Milano, applicano, di norma, il disposto in commento lasciando al giudice dell’esecuzione un potere discrezionale che si concreta in sostanza nell’ordine di liberazione anticipato alla vendita, disponendola a prescindere dalla collaborazione o meno dell’esecutato. In passato – argomenta l’avvocato Sposato – pur non tenendo conto del principio esposto, sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 13202 del 31/05/2010, salvo comportamenti omissivi, od ostativi, posti in essere dal debitore, o da chi occupasse l’immobile pignorato, l’ordine di liberazione, di regola, veniva emesso soltanto al termine della procedura esecutiva con l’ordinanza di aggiudicazione, consentendo al debitore di continuare ad occupare l’immobile fintanto che non fosse stato aggiudicato. Con l’introduzione del contraddittorio, secondo quanto previsto dall’art. 171 del codice civile, il giudice dell’esecuzione può autorizzare il debitore a continuare ad abitare l’immobile pignorato, consentendogli, anche per ragioni di umanità, di beneficiare del bene, se pur limitatamente. Tuttavia – prosegue l’avvocato Sposato – non sembra che il debitore vanti un vero e proprio diritto all’abitazione, ragion per cui, ove questi continui ad abitare l’immobile senza espressa autorizzazione del giudice, si configurerebbe una giusta causa anche per la sua sostituzione nella funzione di custode; delineandosi così la liberazione quale regola e l’abitazione come eccezione che necessita sempre di autorizzazione, anche quando il debitore sia stato nominato custode.

Esecuzione per somma minima.

Diversi sono i problemi connessi con l’interpretazione della norma – puntualizza l’avvocato – si pensi al caso di un immobile pignorato locato ad un canone particolarmente elevato, circostanza in cui è evidente che, trattandosi pur sempre di un potere discrezionale del giudice, l’ordine di liberazione potrebbe essere differito alla vendita, con conseguente vantaggio per la procedura ed incameramento delle relative somme. In contrasto con la precedente formulazione del provvedimento in esame, è la sentenza della Suprema Corte n. 4228 del 03/03/2015 – conclude l’avv. Sposato – che stabilendo una soglia minima di rilevanza nella espropriazione immobiliare, precluderebbe di agire al di sotto di un certo valore, principio al quale non sempre la giurisprudenza di merito ha posto rilievo; il richiamo all’art. 164 bis del codice di procedura civile è evidente, trattandosi di norma di chiusura non esaustiva ed apparendo ragionevole che perlomeno le spese di procedura non superino mai il credito vantato dal creditore procedente.

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