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Case all’asta, la conversione del pignoramento

Pubblicato su Il Messaggero il 13 settembre 2009.

E’ possibile sostituire al bene una somma pari all’importo dovuto per capitale e interessi…

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Pignoramento “pro quota” con il frazionamento singoli lotti e nuovi confini

Pubblicato su Il Messaggero il 21 giugno 2009.

Questo è il terzo e ultimo intervento dedicato a un convegno sul processo esecutivo che si…

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Beni indivisi, pignorabili anche se i comproprietari non sono tutti obbligati

Pubblicato su Il Messaggero il 14 giugno 2009 dall’Avvocato Gianluca Sposato

Come avviene l’espropriazione su beni appartenenti a più persone?

L’articolo 599 del codice di procedura civile stabilisce che possano essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari sono obbligati verso il creditore.

In tal caso del pignoramento deve essere notificato un avviso ai comproprietari ai quali è fatto divieto di lasciar separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza l’ordine del giudice.

La riforma del 2006 ha delineato i criteri cui il giudice dell’esecuzione deve attenersi
nella scelta tra le varie forme previste dall’articolo 599 del codice di procedura civile per l’espropriazione sui diritti oggetto di contitolarità.

Tali forme sono in via preferenziale

  1. la separazione in natura
  2. la divisione giudiziale 
  3. la vendita della quota indivisa

Separazione in natura, divisione giudiziale e vendita della quota indivisa

Nel caso in cui la separazione in natura non sia richiesta o non sia possibile, il giudice deve procedere alla divisione giudiziale.

A meno che non ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa, come determinato a norma dell’art. 568 c.p.c.

La scarsa appetibilità della quota indivisa ha reso spesso inutile adire la via giurisdizionale e nella prassi non si assiste sovente alla istanza di sospensione del processo esecutivo avanzata dal creditore procedente, onde poter instaurare l’ordinario giudizio di divisione.

Beni indivisi, pignorabili anche se i comproprietari non sono tutti obbligati: i riflessi del  titolo esecutivo

I contitolari che sono esposti agli effetti riflessi del titolo esecutivo e che assumono la veste di “litisconsorti”, ossia le parti coinvolte nel giudizio, ove non accettino gli effetti della decisione assunta in loro assenza, possono spiegare opposizione di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c.

Ove ritualmente avvisati, i comproprietari hanno il divieto di operare la divisione stragiudiziale che, se attuata, sarebbe inefficace nei confronti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti, restando invece valida tra i condividenti.

L’audizione di tutti gli interessati ha lo scopo di far acquisire al giudice notizie utili, ma non autorizza a proporre istanze o osservazioni circa le modalità di liquidazione
della quota.

La cosa pignorata è assoggettata a custodia nella sua interezza, con conseguente limitazione dei diritti dei contitolari, che comunque dovrebbero poterne mantenere l’uso e godere.

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Comproprietari non obbligati verso il creditore, ecco le regole da seguire

Pubblicato su Il Messaggero il 7 giugno 2009.

L’articolo 599 stabilisce che possano essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari sono obbligati…

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Atti esecutivi, più ampi i termini della notifica

Pubblicato su Il Messaggero il 31 maggio 2009 dall’Avvocato Gianluca Sposato. Tutti i diritti riservata. Vietata la riproduzione.

Differenza tra opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi

La differenza tra opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi consiste nel fatto che mentre con la prima si contesta la pretesa esecutiva, l’opposizione agli atti è funzionale a contestare le modalità di svolgimento del processo esecutivo.

L’opposizione agli atti esecutivi è disciplinata dall’art. 617 del codice di procedura civile e rappresenta la più frequente delle opposizioni promosse nel processo esecutivo.

Si propone per far valere vizi attinenti alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, nonchè alla loro notificazione e anche ai singoli atti esecutivi.

Più ampi i termini della notifica degli atti esecutivi

Si tratta di un rimedio pensato dal legislatore per far valere vizi formali dei singoli atti del processo, esteso non solo al debitore, ma anche ai creditori ed ai terzi che possano aver subito un pregiudizio dalle fasi del procedimento esecutivo.

La riforma operata dalla Legge 14.5.2005 n. 80 ha allungato il ristrettissimo termine di cinque giorni, previsto in precedenza, a venti giorni dalla notifica del titolo esecutivo, del precetto, o di altro atto inerente la procedura per la sua proposizione.

L’opposizione in via preventiva deve essere esperita con atto di citazione ex art. 163 c.p.c.

L’opposizione in via successiva si propone invece con ricorso, dopo che l’esecuzione è già iniziata, sempre entro il termine da quando i singoli atti del procedimento sono stati compiuti.

Il computo dei termini per la proposizione dell’opposizione

La Cassazione Civile con sentenza del 22/01/2008, n.1269 ha stabilito il momento del compimento dell’atto, dal quale decorre il termine perentorio per la proposizione dell’opposizione.

Questo coincide con il momento in cui l’esistenza di esso è resa palese alle parti del processo esecutivo e, quindi, con il momento in cui l’interessato ha avuto legale conoscenza di esso, o di un atto successivo che necessariamente lo presuppone.

L’opposizione dà vita ad un accertamento cognitivo che può determinare la sospensione del processo esecutivo e che si conclude con sentenza non impugnabile.

Infatti è prevista solo impugnazione ex art. 111 Costituzione per violazione di legge, presupponendo la Carta Costituzionale che ogni processo si svolga nel contraddittorio delle parti, in condizione di parità, davanti a giudice terzo ed imparziale.

Atti esecutivi, più ampi i termini della notifica: effetti della mancata proposizione dell’opposizione

È importante rimarcare come in caso di mancata presentazione dell’opposizione l’eventuale vizio dello svolgimento dell’attività esecutiva è sanato.

Così come una volta venduto il bene non è possibile, decorsi i termini per l’impugnazione, opporre all’aggiudicatario eventuali irregolarità della vendita.

Il giudizio di opposizione agli atti esecutivi può concludersi con il rigetto dell’opposizione per motivi di rito, quando ad esempio il giudizio di merito non è stato introdotto nei termini e modi di legge.

Ovvero può concludersi con il rigetto, con l’accoglimento o, ancora, con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

Nel caso di accoglimento dell’opposizione bisogna, poi, distinguere secondo che dall’accoglimento stesso derivi la fine del processo esecutivo in corso, ovvero non ne impedisca la prosecuzione.

Derivandone, in tal caso, diverse conseguenze in ordine alla necessità che il giudice pronunci un’ordinanza di rinnovazione dell’atto opposto.

 

 

 

 

 

 

 

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I costi dell’aggiudicazione tra imposte di registro e catastali

Pubblicato su Il Messaggero il 24 maggio 2009 dall’Avvocato Gianluca Sposato esperto in compravendite immobiliari. Tutti i diritti riservati.

Quanto spende chi si aggiudica un immobile all’asta?  

Il Custode giudiziario ha l’obbligo di informare l’aggiudicatario su termini e modi per il deposito del saldo prezzo  quantificando le spese che dovrà sostenere.

Queste sono: imposta di registro, ipotecaria e catastale, oltre quelle di cancellazione del pignoramentoe delle ipoteche.

Tenuto  conto che queste ultime verranno messe in prededuzione in sede di distribuzione del ricavato ai sensi del 2°comma dell’art. 2770 C.C. e, dunque, restituite all’aggiudicatario.

I costi dell’aggiudicazione tra imposte di registro e catastali prima della riforma

Prima dell’entrata in vigore della Legge 80/2005 il potenziale acquirente, per poter prendere parte ad un’asta del Tribunale, doveva versare un deposito cauzionale del 10% o del 15% del prezzo base  indicato nell’ordinanza di vendita.

Inoltre era obbligato a depositare contestualmente un ulteriore somma, solitamente il 15% della base d’asta, quale acconto delle spese che si sarebbero dovute sostenere in caso di aggiudicazione.

Tale prassi non prendeva in considerazione le eventuali agevolazioni sull’acquisto della prima casa e l’eventuale credito di imposta, che spetta ai contribuenti per l’acquisto di altra prima casa.

Ciò qualora venga effettuato entro un anno dall’alienazione di altro immobile, fruendo dei benefici previsti ai fini dell’imposta di registro,

In passato nel caso di deposito insufficiente, per il versamento delle imposte dovute all’Erario, la cancelleria invitava l’aggiudicatario a depositare un’integrazione a saldo di quanto dovuto, pena nullità della vendita.

Mentre nel caso di deposito superiore, dopo il versamento delle imposte, provvedeva all’emissione di un mandato di pagamento, a favore dell’aggiudicatario stesso, senza dargliene comunicazione.

Oggi gli oneri fiscali vengono quantificati dal delegato alla vendita

I costi dell’aggiudicazione tra imposte di registro e catastali: oggi, le disposizioni del Tribunale Civile di Roma stabiliscono che gli oneri  fiscali debbano essere quantificati dal professionista delegato.

Mentre le relative somme  devono essere corrisposte allo stesso entro 60 giorni dalla data dell’aggiudicazione affinché provveda alla trascrizione ed al pagamento di tutte le imposte (di registro, ipotecarie e catastali).

Può accadere che l’aggiudicatario chieda, per l’imposta di registro, ipotecaria e catastale, l’applicazione del comma 497 dell’art.1 della Legge 266 del 2005 introdotta dalla legge finanziaria 2006.

Questo in deroga al criterio della determinazione della base imponibile delle tre imposte per le cessioni immobiliari fra persone fisiche in presenza di determinati requisiti.

I costi dell’aggiudicazione tra imposte di registro e catastali: la base imponibile d’imposta

In tale modo, la base imponibile per il calcolo delle suddette imposte è costituita dal valore catastale rivalutato a seconda del tipo di cessione, indipendentemente da quanto effettivamente corrisposto.

A riguardo si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione del 17/05/2007 n°102 adducendo comprovate motivazioni e riportando l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione.

Questa ha stabilito che il comma 497 della legge finanziaria 2006 deroga quanto sancito dall’art.43 “Base imponibile” del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di Registro (T.U.R.).

Pur non essendovi alcuna disposizione, in tal senso, relativa all’art. 44 del T.U.R. “Espropriazione forzata e trasferimenti coattivi”.

Ne consegue l’evidente inapplicabilità del comma 497 ai trasferimenti di immobili a seguito di espropriazione forzata per asta pubblica.

E, quindi, la base imponibile per il pagamento delle imposte dovute, relativa a tali trasferimenti, sarà equivalente al prezzo di aggiudicazione.

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Aste immobiliari l’opposizione del debitore

L’opposizione all’esecuzione immobiliare

L’opposizione alla esecuzione rappresenta una parentesi  di  cognizione nella fase dell’esecuzione e mira a fornire al debitore uno strumento per potersi opporre, in via preventiva al precetto, oppure in via successiva al pignoramento e al diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata – spiega l’Avv. Gianluca Sposato, Presidente dell’Associazione custodi giudiziari.

La riforma introdotta dalla L. n. 80/2005 come poi modificata dalla successiva Legge n. 263/05 ed entrata in vigore dal 1/3/2006, ha apportato in tema di opposizione all’esecuzione  un’importante innovazione prevedendo all’art.  615 del  codice di procedura civile,  che ne disciplina la forma, la possibilità  per il  giudice dell’esecuzione di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo.

Trattasi  di un provvedimento equiparato  a quello cautelare,  che può essere sempre revocato o modificato da parte del  giudice che lo ha emesso e che ha  efficacia generale, nel  senso che preclude la possibilità di continuare ad agire sulla base del  medesimo  titolo.

Circa, poi, la sua reclamabilità si è molto dibattuto in dottrina  esprimendosi  parte di essa in maniera contraria, mentre altri sostengono la sua percorribilità anche in via interpretativa,  tenuto  conto  che nella riformulazione dell’art.  624 del codice di procedura civile, che disciplina le modalità  di  sospensione per l’opposizione alla esecuzione, non è  fatto  riferimento concreto  all’art.  615  dello stesso codice di  rito.

I gravi  motivi  cui  fa riferimento l’articolo in questione, sono  quelli del fumus bonis iuris e del periculum in mora e si  ricollegano  alla fondatezza della domanda,  essendo  a questa naturalmente intrinsechi, prosegue l’Avv. Sposato.

Il debitore chiede,  in  sostanza, che sia fatta certezza sull’esistenza o meno del diritto processuale di agire con l’esecuzione forzata.

I motivi addotti a fondamento possono essere di merito qualora si contesti l’esistenza del diritto sostanziale fatto valere dal creditore, per esempio per intervenuta transazione, adempimento e prescrizione; di  rito,   allorché si contesti la qualità di titolo esecutivo, atto o documento sulla cui base si vuole agire o si sta agendo, per esempio allorchè il creditore non vanti una sentenza di condanna ma di mero accertamento; possono, infine,  riguardare   la contestazione della legittimazione attiva o passiva, per esempio qualora non  vi  sia stata accettazione di  eredità da parte dell’intimato ad adempiere.

Quando l’opposizione alla esecuzione avviene in via preventiva al precetto viene esperita con atto di citazione ex art. 163 c.p.c. al giudice competente che con ordinanza  può sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, altrimenti, si propone con ricorso.

Il giudice dell’esecuzione  fisserà con decreto una udienza camerale, come previsto dall’ art. 185 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, in  cui  si  dovrà rispettare il  contraddittorio tra le parti.

La sentenza con  cui  si  conclude l’opposizione non è  impugnabile, se non  con  ricorso per Cassazione – conclude l’Avv. Gianluca Sposato.

Pubblicato su Il Messaggero il 17 maggio 2009

 

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Case all’asta, quando scatta la sospensione della vendita

Pubblicato su Il Messaggero il 10 maggio 2009 dall’Avvocato Gianluca Sposato. Riproduzione vietata. Tutti i diritti riservati.

La sospensione della vendita immobiliare

L’art. 586 cpc dispone che il giudice, pur essendo stato versato il prezzo di aggiudicazione, può sospendere la vendita e non emettere il decreto di trasferimento, quando ritiene che il prezzo è notevolmente inferiore a quello giusto.

La norma è stata introdotta dall’art. 19 bis della Legge 203/91 contenente provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, trasparenza e buon  andamento  dell’attività  amministrativa.

Parte della dottrina, dando valore al suo contenuto letterale, sostiene che il giudice possa esercitare il potere in esame solo una volta avvenuto il pagamento del saldo prezzo.  

L’orientamento prevalente prevede,  però,  che tale provvedimento possa essere adottato anche  nel tempo che intercorre tra  l’aggiudicazione ed il pagamento del saldo prezzo.

Quando può essere disposta la sospensione della vendita all’asta?

La sospensione della vendita, in ogni caso, può essere disposta solo fino alla pronuncia del decreto di trasferimento.  

Il presupposto del potere di  sospensione, data la mancanza di parametri ai quali la valutazione del giudice deve attenersi, è stato sempre oggetto di ampio dibattito per comprendere quando  nelle case all’asta scatta la sospensione della vendita.

Si è  evidenziato, in primo luogo, la estrema incisività  sul procedimento di vendita, che se trova giustificazione nell’ambito della procedura fallimentare dove l’interesse da perseguire  è quello  del maggiore realizzo possibile per la massa, meno si adatta all’esecuzione individuale.

Se il prezzo offerto è inferiore a quello giusto il giudice blocca la procedura

Conseguentemente si è ritenuto non idoneo a giustificare il provvedimento de quo  ogni evento fisiologico della procedura, per determinare nella case all’asta quando scatta la sospensione della vendita.

Così non  sono elementi  giustificativi il mero succedersi dei ribassi, anche se lungo il  corso di diversi anni, ovvero l’iniziale insufficienza del prezzo base, al quale dovrebbe ovviarsi attraverso l’aggiornamento della stima dell’immobile. 

Gli unici elementi fattuali che possano indurre il giudice dell’esecuzione a negare l’emanazione del decreto di trasferimento sono, dunque,  quelli dai quali si desume  l’intervento di interferenze illecite nella vendita.

Interferenze che ne abbiano  comportato l’irregolare svolgimento,  come  ha chiarito  la Suprema Corte con  la sentenza numero  8464 del 1999.   

Elementi  per determinare la vendita a prezzo notevolmente ingiusto

In ogni caso, l’autorità  giudicante  dovrà  fornire  adeguata motivazione dalla quale possano emergere tutti i parametri  con i quali ha determinato che la vendita è avvenuta ad un prezzo notevolmente ingiusto.   

Verificatasi l’ipotesi che il giudice decida per la sospensione della vendita,  l’aggiudicatario avrà diritto alla restituzione di tutte le somme versate maggiorate degli eventuali interessi.  

Il provvedimento ha la forma dell’ordinanza, impugnabile con l’opposizione agli  atti esecutivi secondo  quanto previsto  dall’ articolo  617 del codice di procedura civile,  nonché revocabile e modificabile ai sensi  dell’articolo 487 dello stesso  codice di  rito.

Analoga previsione di  sospendere la vendita,  anche dopo il versamento  del prezzo,  è  regolata all’art. 108 terzo  comma della Legge Fallimentare – conclude l’Avv. Sposato.

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La sospensione concordata nel procedimento

Pubblicato su Il Messaggero il 22 marzo 2009.

Il decreto legge n. 35 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 80/2005, ha introdotto una nuova ipotesi…

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Tutte le regole dell’istanza di assegnazione

Pubblicato su Il Messaggero il 20 marzo 2009 dall’Avvocato Gianluca Sposato. Tutti i diritti riservati.

Quando il creditore può chiedere l’assegnazione dei beni pignorati?

L’articolo 588 del  codice di  procedura civile prevede al primo comma che il creditore pignorante possa chiedere l’assegnazione dei beni pignorati, nei limiti e secondo le regole stabilite dalla legge – spiega l’Avv. Gianluca Sposato, esperto in  diritto immobiliare.

Mentre l’art. 507  cpc disciplina la forma, stabilendo che l’ordinanza del giudice debba contenere l’indicazione dell’assegnatario, del creditore che ha eseguito il pignoramento, di quelli intervenuti, del debitore, del terzo proprietario, del bene assegnato e del prezzo.

Se sono intervenuti altri creditori, l’assegnazione può essere chiesta a vantaggio di uno solo o di più, d’accordo fra tutti.

Cosa deve contenere l’istanza di assegnazione?

L’istanza deve contenere l’offerta di pagamento di una somma non inferiore a quella prevista nell’articolo 506 ed al prezzo determinato a norma dell’articolo 568 del  codice di  procedura civile.

L’assegnazione costituisce, al pari della vendita forzata, una forma di liquidazione forzata dei beni pignorati, pertanto è importante conoscere tutte le regole dell’istanza di  assegnazione.

Come la vendita forzata, infatti, realizzando l’espropriazione del bene, attua la responsabilità patrimoniale per un debito del debitore esecutato.

Forma dell’istanza di assegnazione

L’elemento caratterizzante l’assegnazione rispetto alla vendita forzata è la circostanza che la stessa opera il trasferimento della titolarità del diritto soggetto ad espropriazione a favore, anziché di un terzo, di un creditore concorrente.

All’interno dell’istituto è necessario distinguere diverse forme inerenti tutte le regole dell’istanza di assegnazione, non sempre percorribile.

La prima distinzione  contrappone, in ragione della funzione assolta, l’assegnazione satisfattiva. all’assegnazione vendita.

Quando l’assegnazione è satisfattiva?

Con l’assegnazione satisfattiva si realizza una specie di “datio in solutum”.

Il bene, anziché essere venduto per successivamente distribuirne il prezzo ricavato in denaro tra i creditori concorrenti, viene direttamente assegnato in natura al creditore a scopo satisfattivo del suo credito.

Il provvedimento di assegnazione satisfattiva produce immediatamente gli effetti giuridici propri dell’istituto come nelle compravendite immobiliari:

  • il trasferimento della titolarità del diritto sul bene assegnato;
  • la contestuale purgazione di tutti i vincoli di garanzia esistenti sul bene stesso;
  • l’estinzione del diritto di credito dell’assegnatario nella misura del valore attribuito al bene assegnato.

Il provvedimento di assegnazione dell’immobile è revocabile?

Proprio a ragione della circostanza per cui il provvedimento di assegnazione satisfattiva produce fin dalla sua pronuncia  effetti giuridici, essendo immediatamente esecutivo, si esclude che lo stesso sia revocabile, o modificabile.

Diversamente, peraltro, la Suprema Corte ha ritenuto l’ammissibilità della revoca del provvedimento di assegnazione abnorme (Cass. 6245/1980).

Per questo  risulta fondamentale conoscere tutte le regole dell’istanza di  assegnazione nel procedimento di esecuzione immobiliare.

Cosa è l’assegnazione vendita?

Diversamente con l’assegnazione vendita il creditore assegnatario non riceve il bene per l’immediata soddisfazione del proprio credito, ma contro il versamento di un prezzo in denaro che verrà distribuito a favore della massa.

L’art. 506  cpc individua il fondamento normativo dell’assegnazione vendita, imponendo che l’assegnazione possa aver luogo esclusivamente per un valore sufficiente a soddisfare i crediti collocati con precedenza rispetto a quello dell’offerente e delle spese.

In questo caso il risultato raggiunto è il seguente:

  • il creditore assegnatario ha pagato il prezzo per divenire titolare del bene, con il quale si soddisfano i creditori aventi causa di prelazione anteriore,
  • ma rimane creditore nei confronti del debitore, atteso che il suo diritto di credito è rimasto insoddisfatto.

Valore dell’assegnazione vendita

Cosa accade se il valore dell’assegnazione vendita eccede la somma di denaro per soddisfare i crediti?

Sempre in relazione a questa ipotesi, può inoltre accadere che il valore per cui ha luogo l’assegnazione vendita ecceda la somma di denaro necessaria a soddisfare i crediti collocati con precedenza rispetto a quello dell’offerente.

Ove ciò accada, ai sensi dell’art. 506, 2° comma, sulla parte eccedente si soddisfano il creditore offerente, nonché gli altri creditori.

Cosa è l’assegnazione mista? 

In questa ipotesi, che, pur rientrando nel novero dell’assegnazione vendita, è generalmente nota come assegnazione mista, il risultato che si ottiene è il seguente:

  • il creditore assegnatario è immediatamente soddisfatto, in misura che può essere tanto totale quanto parziale,
  • cosicché è tenuto a versare soltanto una parte del prezzo offerto, più correttamente indicata dall’art. 509 come conguaglio.

Diversamente dall’assegnazione satisfattiva, per la pronuncia del provvedimento di assegnazione vendita non è necessario il consenso degli altri creditori.

Quando il provvedimento di assegnazione vendita non è esecutivo

Atteso che il provvedimento di assegnazione vendita non è immediatamente esecutivo, lo stesso deve essere considerato suscettibile di revoca prima che abbia avuto esecuzione.

Analogamente a quanto stabilito dall’art. 586 in materia di sospensione della vendita immobiliare per essere il prezzo notevolmente inferiore a quello giusto.  

L’ordinanza di assegnazione deve essere considerata come l’atto conclusivo della relativa fase in cui si articola il processo di espropriazione forzata.

Con la conseguenza che la stessa è suscettibile di essere impugnata esclusivamente con opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617, 2° comma.

La giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di chiarire, infine, che l’istituto  dell’assegnazione in generale è incompatibile con le procedure concorsuali e, pertanto, non può trovare applicazione nell’ambito fallimentare (Cass. 5069/1983 ).

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