Autore: SposatoLaw
La provvisionale in materia di responsabilità civile da circolazione stradale è un provvedimento di condanna contro l’assicurazione che non vuole pagare, immediatamente esecutivo, per far fronte alle più immediate esigenze del danneggiato.
L’art. 147 Codice assicurazioni private prevede lo stato di bisogno del danneggiato disponendo che nel corso del giudizio di primo grado gli aventi al diritto al risarcimento, dunque anche gli eredi, che a causa del sinistro vengano a trovarsi in stato di bisogno, ad esempio per avere perso il lavoro, o per le spese sostenute e da sostenersi per le cure mediche, possono chiedere, con istanza motivata al giudice, che sia loro assegnata una somma a titolo di acconto da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno, con la sentenza di condanna a carico dell’assicurazione.
Condizione affinchè venga concessa la provvisionale è la sussistenza di gravi elementi di responsabilità a carico del conducente, risultanti da un sommario accertamento, dunque il superamento dell’an, come nel caso del terzo trasportato. Il danneggiato deve, inoltre, venirsi a trovare in condizione di difficoltà economica: questo elemento, sebbene non più indispensabile per ottenere l’acconto, incide soltanto sull’entità della somma da liquidare in via provvisoria, potendo il giudice concedere la provvisionale, sia pure in misura inferiore, anche a chi non si trovi in stato di bisogno.
Dunque le effettive condizioni per la concessione della somma in acconto, da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno, sono: che sia iniziata una causa risarcitoria nell’ambito esclusivo di un giudizio di primo grado; che siano state sentite le parti e da un sommario accertamento risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente.
Incidenti sul lavoro

Risarcimento per infortuni e decessi sul lavoro
Lo Studio Legale Sposato è stato fondato nel 1949 dall’avvocato Francesco Sposato, che all’età di 23 anni era il più giovane avvocato d’Italia, per fornire assistenza e supporto a chi subisce lesioni a seguito di gravi infortuni per responsabilità civile. Consolidata esperienza nel campo della responsabilità civile e del risarcimento del danno, sia per infortuni sul lavoro che in corso, tutelando i diritti del lavoratore vittima di un grave infortunio.
Nel corso degli anni abbiamo assistito con successo più di 5.000 clienti in tutta Italia e ottenuto milioni di indennizzi per i feriti, nonché, nei casi più gravi, azioni legali a tutela degli eredi per morte sul lavoro al fine di determinare la colpevolezza. , quantificazione e liquidazione del danno ai familiari.
L’avvocato Gianluca Sposato, figlio d’arte, è considerato a livello nazionale tra i professionisti più preparati in materia di responsabilità civile e risarcimento danni e assiste personalmente tutti i clienti che hanno subito macro infortuni e i familiari di coloro che hanno perso la vita durante il lavoro per motivi imputabili al lavoratore per lavori pericolosi svolti, senza adeguate misure di sicurezza, sia durante i turni di lavoro e le mansioni affidate che durante il tragitto casa-lavoro e viceversa.
Esame gratuito del caso di infortunio sul lavoro
Chi perde il lavoro o la vita a causa di un infortunio sul lavoro merita la massima tutela, per questo la nostra formula per il cliente prevede l’esame e lo studio del caso in maniera completamente gratuita.
Se riscontriamo le cause della responsabilità del lavoratore e decidiamo di assumerci l’incarico di citare in giudizio il danno a favore del lavoratore, il danneggiato riceve tutte le spiegazioni e il supporto necessari per gestire al meglio il proprio infortunio, con garanzia del pagamento. solo ed esclusivamente per ottenere un risarcimento.
Non richiediamo alcun costo anticipato e disponiamo solo dei migliori avvocati di fama nazionale per l’esame e la quantificazione del danno in termini di danno biologico per la certificazione dell’invalidità permanente e relativo impatto sulla capacità lavorativa del danneggiato.
Avvocato esperto di compensazione per infortuni sul lavoro e decessi sul lavoro
Lo Studio Legale Sposato è da sempre considerato il più affidabile della capitale per il settore della responsabilità civile e negli anni è stato scuola e punto di riferimento per molti colleghi avvocati.
Nel 2001 è passata nelle mani dell’avvocato Gianluca Sposato, figlio d’arte e uno dei massimi esperti nazionali in materia di responsabilità civile per la quantificazione del risarcimento del danno, nonché per la ricostruzione degli elementi processuali relativi alla nesso di causalità per la ”determinazione della responsabilità del datore di lavoro”.
L’avvocato Gianluca Sposato, che è stato consulente legale dell’INPDAP Istituto Nazionale per il Welfare dei Lavoratori della Pubblica Amministrazione, segue personalmente tutti i casi relativi a macrolesioni permanenti e decessi occorsi sul lavoro, al fine di offrire la migliore tutela possibile all’infortunato parte. a scopo risarcitorio.
Il danno del lavoratore biologico
Il danno è riconosciuto al lavoratore biologico che abbia subito un infortunio, o un infortunio sul lavoro, o si sia ammalato a causa delle precarie condizioni di salute sul luogo di lavoro. La materia è disciplinata dal Decreto Legislativo n. 38 del 23 febbraio 2000, recante disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ai sensi dell’articolo 55, comma 1, della legge n. 144.
L’indennizzo corrisponde al lavoratore che dimostri il danno subito e il nesso di causalità tra gli infortuni e l’attività svolta, indipendentemente dalla copertura dell’Inail, sia che si tratti di rapporto di lavoro debitamente denunciato, o di lavoro nero.
Il danno morale del lavoratore
Chi è vittima di un infortunio sul lavoro, a causa di attività lavorative pericolose svolte senza precauzioni, in luoghi di lavoro non sicuri, o per esposizione a sostanze tossiche e velenose, come catrame, bitume, gas solido o inalazione, fumi di amianto, subisce danni alla salute che deve essere quantificata sotto diversi profili.
Oltre al danno biologico, ovvero lesioni accertabili in ambito forense in termini di invalidità permanente e temporanea del lavoratore, per l’esatto e completo computo del danno morale subito dal lavoratore, deve essere presa in considerazione anche la sofferenza subita dal lavoratore direttamente dal sinistro, risarcibile come danno morale.
La più recente giurisprudenza della Suprema Corte parla di personalizzazione del danno, con un aumento del 50% dell’invalidità permanente riconosciuta alla parte lesa. Tuttavia, ai fini della massima quantificazione e liquidazione del danno, oltre al nesso di causalità, sarà necessario provare l’effettivo danno subito dal lavoratore che abbia subito lesioni o malattia durante oa causa dell’esercizio della propria posizione. . attività in luoghi di lavoro malsani o non sicuri.
Risarcimento del danno al lavoratore inadempiente
Il nostro ordinamento tutela i lavoratori anche quando non sono nel pieno godimento dei loro diritti, prevedendo la possibilità di chiedere il risarcimento del danno in tutti i casi in cui l’evento dannoso abbia determinato condizioni di inabilità temporanea o permanente al lavoro, rispondendo al datore di lavoro, indipendentemente di obbligo assicurativo o previdenziale.
L’Inail riconosce un’indennità per gli infortuni sul lavoro che abbiano comportato un’invalidità compresa tra il 6% e il 15% e una rendita vitalizia diretta per i casi di laurea pari o superiore al 16%. L’indennizzo in capitale o in forma di rendita vitalizia per invalidità compresa tra il 6% e il 100% è calcolato sulla base delle tabelle del danno biologico Inail che tengono conto di coefficienti legati al sesso, all’età e al grado di invalidità subita.
La denuncia del l’Inail in caso di morte del dipendente
In caso di decesso del lavoratore, ci occupiamo di espletare tutte le procedure necessarie per ottenere l’importo massimo erogabile previsto dalla legge per ciascun legittimo erede.
Il certificato di morte deve essere presentato all’INAIL dal datore di lavoro, o dagli eredi del lavoratore, secondo le modalità previste dalla legge.
Al fine di non commettere errori che possano pregiudicare l’accoglimento della domanda risarcitoria e il suo importo, è bene contattare immediatamente il nostro studio legale che dal 1949 assiste le famiglie di coloro che hanno perso la vita durante oa causa del lavoro svolto, nonché per malattia contratta sul lavoro.
Importi rimborsabili agli eredi del lavoratore
Il datore di lavoro ha il dovere di tutelare la salute e la sicurezza dei propri lavoratori, rispondendo anche penalmente in caso di inosservanza delle disposizioni di legge.
In caso di decesso dell’assicurato, l’assicuratore deve informare i parenti superstiti del loro diritto a richiedere anche la rendita vitalizia.
I parenti del lavoratore che hanno diritto al risarcimento del danno per la perdita del rapporto familiare sono: coniuge, figli, genitori e fratelli.
Gli importi relativi al danno morale che deve essere riconosciuto a ciascun legittimo erede, secondo la recente giurisprudenza della Suprema Corte, devono tenere conto dei seguenti fattori: età del lavoratore deceduto, età del familiare superstite e grado di parentela La convivenza o meno con il lavoratore deceduto è un elemento che può essere valutato ai fini della maggiore o minore importo da corrispondere.
Per fissare un appuntamento e affidare il vostro caso per ottenere il risarcimento del danno per un infortunio con ferite gravi o mortali sul lavoro all’avvocato Gianluca Sposato, potete chiamare il numero 06.3217639 o, per emergenze, il numero legale 24h 347.8743614 a cui assistete anche da WhatsApp

Danno da perdita del rapporto parentale: la prova della sofferenza per l’uccisione del proprio familiare viola principi costituzionalmente garantiti? La guerra intestina su quantificazione e prova del danno da morte e la questione di legittimità costituzionale sollevata relativamente alla sentenza 11200/19 della Cassazione.
Potrebbe sembrare assurdo per i non addetti ai lavori, ma è così: se un proprio congiunto viene ucciso in un incidente stradale i familiari della vittima devono documentare la loro sofferenza per la perdita del rapporto parentale per avere diritto al risarcimento del danno per l’uccisione del proprio caro; altrimenti possono anche non avere diritto ad alcun risarcimento.
Facciamo un esempio per essere più chiari: se il fratello di una persona uccisa mentre attraversava sulle strisce pedonali da un automobilista ubriaco chiede sic et simpliciter il risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale, potrebbe non avere diritto a vedersi riconoscere alcun risarcimento, o ad ottenere un indennizzo in misura ridotta rispetto minimi e massimi che fanno riferimento all’intensità del rapporto con la vittima e alla dimostrazione del dolore per la perdita subìta. Occorre precisare che, seppur ancora non se ne è parlato, con riferimento alla prova relativa alla sofferenza per il danno conseguente la perdita del rapporto parentale è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale in un giudizio di rinvio (dopo due passaggi in Cassazione) inerente la sentenza 11200/19 per violazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione della Repubblica italiana con riferimento agli articoli 2043 e 2059 del codice civile, nella parte in cui la sentenza di cui sopra afferma che: “ la mera relazione di consanguineità non è da sola sufficiente ad integrare il danno risarcibile, gravando sui congiunti l’onere di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti e di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”.
Il giudizio è ancora in corso, in fase decisionale, e non sappiamo se gli atti verranno trasmessi alla Consulta, o meno, per dirimere tanti dubbi e rispondere ai quesiti sollevati da chi scrive. Questa e altre sentenze di legittimità, a seguito dell’involuzione giurisprudenziale che ha elaborato la teoria del danno conseguenza a discapito del danno evento affermano che: “la liquidazione del danno non patrimoniale subìto dai congiunti in conseguenza dell’uccisione del familiare non integra un danno in re ipsa ma deve essere provato in concreto dal danneggiato”. Tuttavia, come ben noto alla medicina legale, che sul punto si è autorevolmente espressa con i suoi maggiori studiosi e rappresentanti, non può non evidenziarsi che il sentimento, il dolore, è qualcosa di interiore che può facilmente desumersi nel caso di perdita del rapporto parentale per fatto illecito, esprimendo perplessità su modalità standard assunte quali relativi mezzi di prova. Autorevoli giuristi e studiosi del danno sostengono, poi, che l’onere della prova dovrebbe, semmai, incombere su chi intenda dimostrare un fatto che si discosti dal sentire umano e sociale, ovvero che si qualifichi come situazione eccezionale, come il non provare dolore, o provare un sentimento di sollievo, se non addirittura di gioia e felicità, per l’uccisione di un proprio familiare.
Illogicità, incoerenza e arbitrarietà delle motivazioni per cui la sofferenza per l’uccisione di un familiare non è “in re ipsa”.
La giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale individua quali criteri che valgono come indici dell’eccesso di potere legislativo quello dell’assoluta illogicità, incoerenza od arbitrarietà delle motivazioni della legge, o dell’atto ad esso equiparato e quello della irragionevolezza delle statuizioni legislative rispetto alla realizzazione concreta del fine.
A prescindere dal valore e dal contenuto delle presunzioni legali, sembra che i giudici non vogliano tenere contro di quella che è la norma quando si deve affrontare la morte violenta di un proprio familiare, ovvero: sofferenza, dolore, vuoto incolmabile, sconforto, perdita della voglia di vivere per l’uccisione del proprio caro e come ogni diversa interpretazione e convincimento sia in contrasto e leda i princìpi sanciti negli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.
L’articolo 2 garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, mentre l’articolo 3 afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge: dovere dimostrare lo sconvolgimento della propria vita per l’uccisione di un familiare è in contrasto con tali principi, violando la dignità sociale che si manifesta anche nel rispetto dell’altrui dolore che non deve essere calpestato, o trasformato in fenomeno da circo, né, tantomeno può, senza riserva, costituire oggetto di prova nella generalità dei casi, attesa la natura interiore e strettamente personale del sentimento.
Ciò a prescindere dal fatto che un sentimento, come l’amore, l’amicizia, il dolore, non può essere provato, proprio perché indice di una spontaneità interiore caratterizzata dalla riservatezza ed esclusività e che qualunque mezzo di prova rappresenta, piuttosto, una coercizione ed una violenza al rispetto della riservatezza e del dolore per chi subisca quanto di più atroce la vita possa riservare all’essere umano: la privazione dell’affetto di un proprio caro a causa della morte violenta per un fatto illecito.
Quali documenti dovrebbe fornire la vittima di un reato per provare il dolore per l’uccisione di un suo familiare?
A prescindere dal fatto che è in corso un aspro e ampio dibattito tra giuristi su quantificazione e prova del danno da morte, occorre evidenziare che le ultime pronunce della Cassazione sembrano volere ristabilire un equilibrio a favore del danneggiato.
A cominciare dalla ordinanza n. 7748/2020 che ha chiarito come il pregiudizio patito dai prossimi congiunti sia configurabile come danno diretto e non riflesso, potendo desumersi presuntivamente, come è logico che sia, anche dal legame parentale la sofferenza, lo sconvolgimento della propria esistenza per quanto di più triste possa capitare ad una persona: sopravvivere al mondo senza l’affetto di chi amava. Qualcuno ha, poi, paragonato alla sentenze di San Martino, per importanza ed impatto con l’attuale sistema risarcitorio in tema da danno da perdita parentale, le 3 sentenze della Suprema Corte Cass. 10579/21, Cass. 26300/21, Cass. 26301/21 nelle quali è stato, speriamo definitivamente, chiarito quali sono i criteri per determinare gli importi da liquidare a titolo risarcimento danno per la perdita del rapporto parentale agli eredi della vittima di un fatto illecito, con un richiamo esplicito ad abbandonare quanto contenuto nelle Tabelle Milanesi.
Con le pronunce sopra richiamate, ma anche con le successive 33055/21 e 38077/21, la Suprema Corte ha voluto ricordare che per determinare le somme da corrispondere a ciascun congiunto della vittima di un fatto illecito si deve fare riferimento non soltanto al grado di parentela ed alla convivenza, o meno, con la vittima, ma anche all’età del defunto e all’età del congiunto superstite.
Tali criteri, sconvolti solo dalle Tabelle milanesi che, con il Gruppo Danno alla Persona dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile, auspichiamo corra ai ripari per lo meno sul divario della forbice prevista per gli importi da liquidare ai fratelli, come indicato nelle ultime Tabelle di liquidazione del danno del Tribunale di Roma, risalenti al 2019 sono gli unici da applicare per determinare gli importi da liquidare a ciascun erede per la morte di un proprio familiare: coniuge, figlio, genitore, fratello, nonno, nipote. Infatti, non può non tenersi conto di quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 26301 del 2021, che ha voluto sottolineare come: “Il vero danno nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza non la relazione.
E’ il dolore, non la vita che cambia, se la vita è destinata, si, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a se stessi nel mondo”. Si tratta di una pronuncia che non lascia dubbi interpretativi e, richiamando il principio, già più volte invocato, delle presunzioni legali nell’ambito della prova dello sconvolgimento della vita a causa di un fatto illecito per la morte di un proprio familiare, chiarisce anche come la sofferenza per la perdita del rapporto parentale deve essere provata e valutata dal giudice per avere diritto al risarcimento del danno ed in quale misura: “La sofferenza morale allegata e poi provata, anche a mezzo di presunzioni semplici, costituisce l’aspetto più significativo del danno. Esiste, infatti, una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macro lesione del congiunto rimasto in vita in cui è la vita di relazione a subire profonde modificazioni in peggio”.
La prova del dolore per l’uccisione di un familiare costituisce una violazione del rispetto della persona?
Non può, infine, non richiamarsi l’art. 32 della Costituzione, secondo cui la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività e la legge non può, in nessun caso, violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Viene da chiedersi se costringere un genitore, che ha perso un figlio trasportato in auto in un incidente stradale, che a seguito di questa tragedia si chiuda in sé stesso e non voglia più parlare con nessuno, a fornire una prova del suo dolore non rappresenti una violazione del rispetto della sua persona, della sua privacy, una intrusione sgradita nel suo lutto familiare.
Ma vi è di più: vi è da chiedersi se questo gioco perverso che calpesta i diritti del danneggiato, possa portare nel circo delle aule di giustizia ad indagini ed accertamenti peritali pericolosi ed inutili ai fini dell’equità e garanzia dei diritti, tenuto conto che la legge deve garantire uguaglianza e non disparità. Il principio secondo cui il danno per la perdita di un familiare non è “in re ipsa“ si appalesa in netto contrasto e violazione della norma costituzionale richiamata. La perdita di un familiare rappresenta il più grande sconvolgimento che possa abbattersi nella vita di un essere umano, ponendo spesso fine alla voglia di vivere, una mancanza ed un dolore non sanabile nel tempo.
Una situazione che non si augura a nessuno: solo chi ha vissuto un lutto familiare può comprendere come la salute risenta del vuoto incolmabile provocato dalla mancanza di un proprio caro e come ciò incida negativamente sulla qualità della propria esistenza, venendo meno la voglia di vivere e divenendo la vita un dolore continuo e costante. Per tale ragione il nostro legislatore ha previsto il risarcimento di un danno di carattere morale per determinate categorie di congiunti a seguito del decesso di un familiare (finanche i nonni, i cugini e gli zii nelle ultime tabelle di liquidazione del danno elaborate dal tribunale di Roma 2019) cagionato da fatto illecito, non rappresentando l’assenza di convivenza, nel mondo in cui viviamo e con le tecnologie a disposizione, un ostacolo alla pienezza del rapporto affettivo tra consanguinei, tant’è vero che il giudice può ridurre (può, non deve) l’importo riconosciuto a titolo di danno da perdita parentale fino alla metà.
Negare che l’uccisione di un proprio familiare costituisca violazione dei diritti, e dunque, dei danni, perlomeno non patrimoniali, dei congiunti superstiti è nozione contraria ai principi basilari del sentire sociale e del diritto che è chiamato a tutelare tali beni supremi: la salute, la piena dignità sociale e l’uguaglianza sostanziale dell’individuo di fronte alla legge; così come anche non riconoscere che il dolore possa essere provato e manifestato in maniera differente e soggetto a valutazione equitativa da parte di organi giudicanti differenti e con propri distinti convincimenti.
D’altronde il caos generato sui danni non patrimoniali da uccisione di un congiunto, con l’elaborazione della teoria del “danno conseguenza” a scapito del “danno evento” non tengono conto dell’unica considerazione meritevole di tutela e cioè che: la vita e la salute sono beni preziosi ed irrinunciabili costituzionalmente protetti e garantiti e che l’evento e la conseguenza si identificano nel danno stesso, non potendo avere distinta collocazione quali espressioni racchiuse nel dettame dell’articolo 2058 del nostro codice civile.
Negare che l’uccisione di un figlio non abbia ripercussioni nella vita e sulla salute dei genitori, che la morte di un fratello non sconvolga l’esistenza dei familiari superstiti è principio che contravviene al sentire sociale e a quelle nozioni comuni proprie di uno Stato che voglia definirsi garantista e di diritto.
Avvocato Gianluca Sposato Gruppo Danno alla Persona Osservatorio Sulla Giustizia Civile.





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