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Case all’asta, quando scatta la sospensione della vendita

Pubblicato su Il Messaggero il 10 maggio 2009 dall’Avvocato Gianluca Sposato. Riproduzione vietata. Tutti i diritti riservati.

La sospensione della vendita immobiliare

L’art. 586 cpc dispone che il giudice, pur essendo stato versato il prezzo di aggiudicazione, può sospendere la vendita e non emettere il decreto di trasferimento, quando ritiene che il prezzo è notevolmente inferiore a quello giusto.

La norma è stata introdotta dall’art. 19 bis della Legge 203/91 contenente provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, trasparenza e buon  andamento  dell’attività  amministrativa.

Parte della dottrina, dando valore al suo contenuto letterale, sostiene che il giudice possa esercitare il potere in esame solo una volta avvenuto il pagamento del saldo prezzo.  

L’orientamento prevalente prevede,  però,  che tale provvedimento possa essere adottato anche  nel tempo che intercorre tra  l’aggiudicazione ed il pagamento del saldo prezzo.

Quando può essere disposta la sospensione della vendita all’asta?

La sospensione della vendita, in ogni caso, può essere disposta solo fino alla pronuncia del decreto di trasferimento.  

Il presupposto del potere di  sospensione, data la mancanza di parametri ai quali la valutazione del giudice deve attenersi, è stato sempre oggetto di ampio dibattito per comprendere quando  nelle case all’asta scatta la sospensione della vendita.

Si è  evidenziato, in primo luogo, la estrema incisività  sul procedimento di vendita, che se trova giustificazione nell’ambito della procedura fallimentare dove l’interesse da perseguire  è quello  del maggiore realizzo possibile per la massa, meno si adatta all’esecuzione individuale.

Se il prezzo offerto è inferiore a quello giusto il giudice blocca la procedura

Conseguentemente si è ritenuto non idoneo a giustificare il provvedimento de quo  ogni evento fisiologico della procedura, per determinare nella case all’asta quando scatta la sospensione della vendita.

Così non  sono elementi  giustificativi il mero succedersi dei ribassi, anche se lungo il  corso di diversi anni, ovvero l’iniziale insufficienza del prezzo base, al quale dovrebbe ovviarsi attraverso l’aggiornamento della stima dell’immobile. 

Gli unici elementi fattuali che possano indurre il giudice dell’esecuzione a negare l’emanazione del decreto di trasferimento sono, dunque,  quelli dai quali si desume  l’intervento di interferenze illecite nella vendita.

Interferenze che ne abbiano  comportato l’irregolare svolgimento,  come  ha chiarito  la Suprema Corte con  la sentenza numero  8464 del 1999.   

Elementi  per determinare la vendita a prezzo notevolmente ingiusto

In ogni caso, l’autorità  giudicante  dovrà  fornire  adeguata motivazione dalla quale possano emergere tutti i parametri  con i quali ha determinato che la vendita è avvenuta ad un prezzo notevolmente ingiusto.   

Verificatasi l’ipotesi che il giudice decida per la sospensione della vendita,  l’aggiudicatario avrà diritto alla restituzione di tutte le somme versate maggiorate degli eventuali interessi.  

Il provvedimento ha la forma dell’ordinanza, impugnabile con l’opposizione agli  atti esecutivi secondo  quanto previsto  dall’ articolo  617 del codice di procedura civile,  nonché revocabile e modificabile ai sensi  dell’articolo 487 dello stesso  codice di  rito.

Analoga previsione di  sospendere la vendita,  anche dopo il versamento  del prezzo,  è  regolata all’art. 108 terzo  comma della Legge Fallimentare – conclude l’Avv. Sposato.

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La sospensione concordata nel procedimento

Pubblicato su Il Messaggero il 22 marzo 2009.

Il decreto legge n. 35 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 80/2005, ha introdotto una nuova ipotesi…

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Tutte le regole dell’istanza di assegnazione

Pubblicato su Il Messaggero il 20 marzo 2009 dall’Avvocato Gianluca Sposato. Tutti i diritti riservati.

Quando il creditore può chiedere l’assegnazione dei beni pignorati?

L’articolo 588 del  codice di  procedura civile prevede al primo comma che il creditore pignorante possa chiedere l’assegnazione dei beni pignorati, nei limiti e secondo le regole stabilite dalla legge – spiega l’Avv. Gianluca Sposato, esperto in  diritto immobiliare.

Mentre l’art. 507  cpc disciplina la forma, stabilendo che l’ordinanza del giudice debba contenere l’indicazione dell’assegnatario, del creditore che ha eseguito il pignoramento, di quelli intervenuti, del debitore, del terzo proprietario, del bene assegnato e del prezzo.

Se sono intervenuti altri creditori, l’assegnazione può essere chiesta a vantaggio di uno solo o di più, d’accordo fra tutti.

Cosa deve contenere l’istanza di assegnazione?

L’istanza deve contenere l’offerta di pagamento di una somma non inferiore a quella prevista nell’articolo 506 ed al prezzo determinato a norma dell’articolo 568 del  codice di  procedura civile.

L’assegnazione costituisce, al pari della vendita forzata, una forma di liquidazione forzata dei beni pignorati, pertanto è importante conoscere tutte le regole dell’istanza di  assegnazione.

Come la vendita forzata, infatti, realizzando l’espropriazione del bene, attua la responsabilità patrimoniale per un debito del debitore esecutato.

Forma dell’istanza di assegnazione

L’elemento caratterizzante l’assegnazione rispetto alla vendita forzata è la circostanza che la stessa opera il trasferimento della titolarità del diritto soggetto ad espropriazione a favore, anziché di un terzo, di un creditore concorrente.

All’interno dell’istituto è necessario distinguere diverse forme inerenti tutte le regole dell’istanza di assegnazione, non sempre percorribile.

La prima distinzione  contrappone, in ragione della funzione assolta, l’assegnazione satisfattiva. all’assegnazione vendita.

Quando l’assegnazione è satisfattiva?

Con l’assegnazione satisfattiva si realizza una specie di “datio in solutum”.

Il bene, anziché essere venduto per successivamente distribuirne il prezzo ricavato in denaro tra i creditori concorrenti, viene direttamente assegnato in natura al creditore a scopo satisfattivo del suo credito.

Il provvedimento di assegnazione satisfattiva produce immediatamente gli effetti giuridici propri dell’istituto come nelle compravendite immobiliari:

  • il trasferimento della titolarità del diritto sul bene assegnato;
  • la contestuale purgazione di tutti i vincoli di garanzia esistenti sul bene stesso;
  • l’estinzione del diritto di credito dell’assegnatario nella misura del valore attribuito al bene assegnato.

Il provvedimento di assegnazione dell’immobile è revocabile?

Proprio a ragione della circostanza per cui il provvedimento di assegnazione satisfattiva produce fin dalla sua pronuncia  effetti giuridici, essendo immediatamente esecutivo, si esclude che lo stesso sia revocabile, o modificabile.

Diversamente, peraltro, la Suprema Corte ha ritenuto l’ammissibilità della revoca del provvedimento di assegnazione abnorme (Cass. 6245/1980).

Per questo  risulta fondamentale conoscere tutte le regole dell’istanza di  assegnazione nel procedimento di esecuzione immobiliare.

Cosa è l’assegnazione vendita?

Diversamente con l’assegnazione vendita il creditore assegnatario non riceve il bene per l’immediata soddisfazione del proprio credito, ma contro il versamento di un prezzo in denaro che verrà distribuito a favore della massa.

L’art. 506  cpc individua il fondamento normativo dell’assegnazione vendita, imponendo che l’assegnazione possa aver luogo esclusivamente per un valore sufficiente a soddisfare i crediti collocati con precedenza rispetto a quello dell’offerente e delle spese.

In questo caso il risultato raggiunto è il seguente:

  • il creditore assegnatario ha pagato il prezzo per divenire titolare del bene, con il quale si soddisfano i creditori aventi causa di prelazione anteriore,
  • ma rimane creditore nei confronti del debitore, atteso che il suo diritto di credito è rimasto insoddisfatto.

Valore dell’assegnazione vendita

Cosa accade se il valore dell’assegnazione vendita eccede la somma di denaro per soddisfare i crediti?

Sempre in relazione a questa ipotesi, può inoltre accadere che il valore per cui ha luogo l’assegnazione vendita ecceda la somma di denaro necessaria a soddisfare i crediti collocati con precedenza rispetto a quello dell’offerente.

Ove ciò accada, ai sensi dell’art. 506, 2° comma, sulla parte eccedente si soddisfano il creditore offerente, nonché gli altri creditori.

Cosa è l’assegnazione mista? 

In questa ipotesi, che, pur rientrando nel novero dell’assegnazione vendita, è generalmente nota come assegnazione mista, il risultato che si ottiene è il seguente:

  • il creditore assegnatario è immediatamente soddisfatto, in misura che può essere tanto totale quanto parziale,
  • cosicché è tenuto a versare soltanto una parte del prezzo offerto, più correttamente indicata dall’art. 509 come conguaglio.

Diversamente dall’assegnazione satisfattiva, per la pronuncia del provvedimento di assegnazione vendita non è necessario il consenso degli altri creditori.

Quando il provvedimento di assegnazione vendita non è esecutivo

Atteso che il provvedimento di assegnazione vendita non è immediatamente esecutivo, lo stesso deve essere considerato suscettibile di revoca prima che abbia avuto esecuzione.

Analogamente a quanto stabilito dall’art. 586 in materia di sospensione della vendita immobiliare per essere il prezzo notevolmente inferiore a quello giusto.  

L’ordinanza di assegnazione deve essere considerata come l’atto conclusivo della relativa fase in cui si articola il processo di espropriazione forzata.

Con la conseguenza che la stessa è suscettibile di essere impugnata esclusivamente con opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617, 2° comma.

La giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di chiarire, infine, che l’istituto  dell’assegnazione in generale è incompatibile con le procedure concorsuali e, pertanto, non può trovare applicazione nell’ambito fallimentare (Cass. 5069/1983 ).

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Con la riforma il custode ha responsabilità penali, civili e tributarie

Pubblicato su Il Messaggero il 22 febbraio 2009 dall’Avvocato Gianluca Sposato. Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione.

Il custode è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito, con la riforma il custode ha responsabilità penali, civili e tributarie.

Quando è responsabile il custode giudiziario?

Le attività relative alla gestione dell’immobile da parte del custode comportano responsabilità di natura penale, civile, tributaria.

L’art. 2051 del Codice Civile  stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia salvo che provi il caso fortuito.

Viene,  così, introdotta una disciplina speciale per i danni arrecati dalle cose di cui si ha la custodia.

Con la riforma il custode ha responsabilità penali, civili e tributarie.

Come dimostrare la colpa del custode?

In passato, la norma veniva interpretata in maniera strettamente aderente al dato testuale con conseguente inversione dell’onere della prova.

Poichè si riteneva che il danneggiato dovesse provare esclusivamente il danno subito senza dover dimostrare  la colpa del custode.

Al custode giudiziario  spettava un’unica e tassativa causa di esonero di responsabilità in presenza di caso fortuito.

Con la riforma il custode ha responsabilità penali, civili e tributarie: condizioni

L’orientamento della Suprema Corte nel ritenere che la colpa fosse presunta ex lege si fondava essenzialmente su due principi:

  1. nell’essersi il danno verificato nell’ambito del dinamismo connaturato alla cosa
  2. e nell’esistenza di un effettivo potere fisico del soggetto su di  essa, in modo da impedire danni a terzi.

Alla luce di  quanto sopra, si riteneva che la presunzione di colpa potesse essere superata dalla prova che il danno fosse derivato esclusivamente da caso fortuito (Cass. Civ. Sez. III n.6340  25/11/1988).

Inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale

Tale orientamento è stato criticato dalla dottrina per vari ragioni in considerazione del fatto che la limitazione della prova liberatoria al caso fortuito non attiene al piano soggettivo dell’illecito essendo  qualcosa di esterno,  come recepito dalla Giurisprudenza più recente con  sentenza Cass. Civ. n. 6753 del  06/04/04.

Ne consegue l’inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo sull’attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito.

Occorre, poi, distinguere se il bene è nella detenzione del  debitore o se l’immobile è libero, non potendo essere attribuite responsabilità per attività dannose in capo  al  custode poste in essere da colui che risiede all’interno dello  stesso.

Come individuare il grado di responsabilità del  custode nell’esecuzione dell’ufficio affidatogli?

L’art. 67 del c.p.c. prevede che il custode è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti qualora non eserciti la custodia con la diligenza del buon padre di famiglia.

La Giurisprudenza ha ritenuto che tale responsabilità sussista anche nei confronti dei terzi nel caso il custode abbia male adempiuto alle sue funzioni o abbia ecceduto dalla sfere dei poteri ad esso conferiti.

La circostanza che la norma faccia riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia determina che per il custode non vi è un’attenuazione della responsabilità, come prevista dall’art. 2236 c.c. per il prestatore d’opera.

Quest’ultimo risponde solo per dolo o colpa grave nei casi di prestazione che implichi soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

Responsabilità penale del custode

Vanno inoltre considerare le ipotesi di responsabilità penale di cui agli artt. 334 e 335 c.p. che, pur riferendosi a fattispecie di sequestro, trovano applicazione anche in materia di custodia dei beni pignorati.

Specificamente il custode che danneggi i beni affidatigli allo scopo di favorire il proprietario è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

Nel caso poi ne cagioni la distruzione ovvero ne agevoli la soppressione, la reclusione prevista è fino a 6 mesi.

Rileva poi il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice di cui all’art. 388 c.p. che, al comma 5, prevede la reclusione fino ad un anno per il custode che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell’ufficio.  

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Le norme che regolano la prelazione del promissario acquirente

Le norme che regolano la prelazione del promissario acquirente

Pubblicato su Il Messaggero il 15 febbraio 2009 dall’Avvocato immobiliarista Gianluca Sposato. Vietata la riproduzione. Tutti i diritti riservati.

Diritto di prelazione nella vendita

Nelle esecuzioni immobiliari e procedure concorsuali la legge esclude l’applicabilità del diritto di prelazione a favore dell’inquilino di immobili urbani, ex art.  38 legge 392/78.

Le norme che regolano la prelazione del promissario acquirente sono escluse anche a favore del coltivatore diretto e del confinante coltivatore diretto, come previsto  dall’art. 8  comma 2 legge 590/65 e dall’art 7 legge 817/71. 

La gran parte dei casi in cui la legge riconosce a particolari categorie di persone il diritto di essere preferite ad altre nel caso di compravendite immobiliari  non sono applicabili, dunque, al processo esecutivo.

Prelazione nelle vendite immobiliari

Esistono alcuni particolari casi di prelazione che possono essere esercitate nei confronti dell’acquirente aggiudicatario di immobile sottoposto a pignoramento.

Sono:

  • la prelazione dello Stato;
  • la prelazione del promissario acquirente di bene futuro ai sensi dell’art.9 del D. Lgs. 122/2005.

Il decreto in questione ha  posto in essere una serie di norme a tutela dei promissari acquirenti di immobili da costruire.

Tra le norme del decreto ne esiste una in particolare che riguarda proprio il caso nel quale il bene futuro oggetto di preliminare di compravendita, una volta costruito, prima che venga definitivamente venduto al promissario acquirente, sia sottoposto a procedura esecutiva.

Condizioni richieste per la prelazione nella compravendita

Qualora l’immobile sia stato consegnato al promissario acquirente e da questi adibito ad abitazione principale è riconosciuto il diritto di prelazione nell’acquisto dell’immobile al prezzo definitivo raggiunto nell’incanto anche in esito alle eventuali offerte ai sensi dell’art. 584 cpc.

Le norme che regolano la prelazione del promissario acquirente sono contenute nell’art.9 del D. Lgs. 122/2005,  anche nel caso in  cui  abbia escusso la fideiussione, o per un parente in primo grado.

In questa ipotesi, mentre l’aggiudicatario resta estraneo ad ogni attività, l’autorità che ha proceduto alla vendita deve comunicare al promissario acquirente il prezzo definitivo e le condizioni per il suo pagamento.

Diritto di esercitare la prelazione

Il promissario acquirente, pur avendo escusso la fideiussione e dunque recuperato parte del denaro versato, nel termine di dieci giorni da quando ha ricevuto la comunicazione che lo invita ad esercitare o meno il proprio diritto di prelazione, nel caso voglia esercitarla, deve offrirsi di acquistare alle stesse condizioni contenute nella comunicazione.

Esiste, poi,  un altro caso di prelazione che può essere esercitata anche nell’ambito del processo esecutivo ed è la prelazione dello Stato.

La prelazione dello Stato sugli immobili

Vi sono immobili che pur costituendo beni culturali e cioè di interesse storico, artistico ed archeologico e pur essendo sottoposti a vari vincoli,  sono tuttavia pignorabili e dunque assoggettabili al processo esecutivo.

Normalmente lo Stato proprio per proteggere i beni in questione trascrive sugli stessi il “vincolo di interesse storico artistico” e dunque l’acquirente aggiudicatario di tale bene deve essere portato a conoscenza della particolare restrizione.

Ciò al fine di poter comunicare l’avvenuta aggiudicazione di bene sottoposto al vincolo stesso.

È lo stesso aggiudicatario che deve farne comunicazione,  in quanto l’inosservanza di tale disposizione renderebbe nulla la vendita.

Mentre l’effetto traslativo del decreto di trasferimento resta sospeso in attesa che lo Stato eserciti o meno, entro due mesi dalla comunicazione, il proprio diritto di prelazione.

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